Il Vietnam mi è piaciuto più del previsto, ma viaggiare seguendo queste rotte strabattute dai backpackers è per me abbastanza noioso, quindi appena arrivato in Cambogia ho deciso di fermarmi subito al mare per un paio di settimane. Senza quindi sbattermi più di tanto mi fermo a Kep, la prima città di mare al di là del confine. Il primo approccio è senza dubbio positivo ( a parte i 5 dollari di tangente che mi fregano i poliziotti al confine ), tutto mi sembra molto più bello e selvaggio, quasi “africano”, e trovo anche abbastanza facilmente una guesthouse economica e perfetta per i miei gusti.
Kep è un posto abbastanza strano, c’è solo un piccolo centro con qualche negozio e ristorante vicino alla spiaggia principale e tutto il resto è sparso a macchia di leopardo in un’area molto vasta. Sullo sfondo c’è una vera e propria e giungla, oggi protetta all’interno di un parco. In passato fu prima una specie di località balneare per nobili e potenti locali e poi una roccaforte dei khmer rouge. Infine divenne zona di guerra quando ci fu l’invasione vietnamita e gran parte delle vecchie ville venne distrutta e data alle fiamme ( non è ben chiaro se dai vietnamiti o dagli stessi khmer rouge prima di fuggire, probabilmente da entrambi ). I ruderi sono ancora ben visibili sparsi qua e là. Poi qualche anno fa si è deciso di far rivivere i vecchi fasti e hanno iniziato a costruire nuove ville e resort, con l’intenzione di trasformare Kep in un posto turistico “upmarket”. Secondo me il vero problema è che il mare e le spiagge non sono abbastanza belli, e onestamente se fossi in zona e volessi spendere 100 o 200 euro a notte per un resort sul mare andrei altrove, tipo in Thailandia ad esempio.
Comunque ci sono lo stesso molti stranieri, soprattutto francesi. Alcuni si sono trasferiti o ci vivono per lunghi periodi. Dal punto di vista delle formalità burocratiche la Cambogia è senza dubbio il paese più aperto forse di tutta l’Asia, se ti vuoi fermare anche per lunghi periodi o addirittura per sempre lo puoi fare senza grossi problemi. Non è difficile nemmeno aprire delle attività o acquistare proprietà, o almeno non così complicato come nei paesi vicini. In generale comunque il tipo di viaggiatori non è quello solito da Sud Est Asiatico, ci sono pochi ragazzini in cerca di avventure e la maggior parte sono gente diciamo oltre i 30 anni che preferisce posti più tranquilli. E’ un ottimo posto per rilassarsi, per leggersi qualche buon libro, farsi lunghe passeggiate ( c’è un bellissimo lungomare, bisogna fare attenzione alle scimmie ladre però ), giri in bicicletta ( la mia guesthouse le aveva gratis ), escursioni nella giungla, giocare a biliardo o semplicemente godersi una o più birre gelate sulla spiaggia. Il clima è fantastico, più o meno tra i 25 e i 30 gradi tutto l’anno.
C’è anche qualche italiano stanziale, uno di questi è il moroso della tizia che gestisce la mia guesthouse e ha aperto da poco un ristorante “true italian style” vicino alla spiaggia. Sta cercando di istruire le cameriere cambogiane ma pare che abbiano qualche problema a capire come fare la pasta perfettamente al dente.
Una sera incontro un tedesco che sta girando tutto il Sud Est Asiatico con uno scooter pagato 200 euro in Vietnam ( non una grande idea, era già rimasto a piedi due volte ). Era a Bali con la fidanzata, ma questa l’ha mollato e alla fine ha deciso di darsi all’avventura, anche se non mi dava l’impressione di un gran avventuriero ( si era anche fatto fregare il cellulare e tutti i soldi a Lombok ).
Anche alla guesthouse c’è bella gente, un pensionato-intellettuale americano che praticamente vive in Cambogia da anni, un tizio svedese tatuatissimo che gira il mondo da decenni e un simpatico giornalista sportivo spagnolo con il quale andrò poi a vedere l’isola di fronte a Kep, Koh Tonsay. L’isola è bella, il mare è decisamente migliore di quello della terraferma ma comunque nulla di eccezionale, o almeno non al livello dei posti più belli della Thailandia o dell’Indonesia.
Gli ultimi giorni c’era il capodanno cinese, che però da queste parti sembra più un ferragosto nostro degli anni cinquanta, solo che dura tre giorni: si caricano le macchine di ogni ben di dio da mangiare e di frighi pieni di birre e si va al mare. Poi affitti un tappeto sotto una tenda con delle amache e mangi e bevi fino allo sfinimento. Volendo se non hai voglia di portarti da mangiare e hai qualche dollaro in piú c’é un sacco di gente che ti fa la grigliata di pesce sul posto. Paese povero sí, ma quanto magnano…
Anche a Kampot sembra che ci siano quasi più stranieri che locali, e qui a differenza di Kep sono in maggioranza giovani backpackers tutt’altro che simpatici, ma d’altronde sono i posti loro, se ci vieni sei tu che sei “in trasferta” e sai già che te li becchi. Comunque da quanto ho visto credo non piacciano molto nemmeno agli stessi cambogiani. Mi ha colpito ad esempio un’insegna in uno dei bar: “No Shirt No beer”, evidentemente rivolta ai tanti ragazzi che girano sempre a petto nudo, costume e infradito convinti di essere perennemente in spiaggia ( che a Kampot non c’è ).
La città è piuttosto carina comunque, decadente, molto sonnolenta, in certe zone sembra quasi una città fantasma abbandonata dopo una guerra. C’è un bel lungo fiume, case coloniali colorate con le bouganville e i gelsomini, ottimi ristoranti economici, strani monumenti superkitsch ( tra i quali un enorme durian ). La maggior parte della gente che ci viene fa vari tour nei dintorni ma io non ci ho visto nulla di così interessante quindi ho solo cazzeggiato, fatto qualche passeggiata in città e mi sono goduto il buon cibo nei ristoranti sul fiume. In questo periodo ( febbraio ) comunque il paesaggio tipico cambogiano ( vastissime pianure di risaie e palme soprattutto ) è piuttosto brutto e spoglio, tutti i campi sono bruciati dal sole e il colore dominante è un giallo spento.
Dopo quindi più di due settimane di totale relax sono più che pronto ad affrontare il caos e il degrado della capitale Phnom Penh, l’unica metropoli cambogiana, sulla quale ho letto e sentito pareri contrastanti. Molti dicono anche di evitarla, ma non è il mio modo di viaggiare. Non amo molto le metropoli asiatiche ma una volta sul posto la curiosità di viaggiatore prevale sempre e almeno i canonici tre giorni ( per me il tempo minimo necessario per capire qualcosa di una città ) li concedo sempre a tutte le città.