22 Maggio. Jesolo.
Scorre la campagna verso Jesolo. Qui c’era tutta palude poi è arrivata la bonifica e sono sorte le cascine. Quasi tutte uguali, in mezzo ai campi fin dove l’occhio può arrivare. Orizzonte e ancora orizzonte e poi la Laguna. Un ansa del fiume. Il Sile. L’acqua porta a galla leggende, il letto è una mano del destino, i pesci ci scorrono sopra assieme all’acqua, alle alghe. Silenzio di luoghi che sembrano disabitati sotto questo cielo grigio e basso. La pioggia.
Il mare, grigio anche quello con un riflesso d’azzurro lontano.
E gli ombrelloni che sono aperti per il Giro sul Lido, la sabbia fradicia.
E ancora la pioggia.
Tutta piatta fino a qui. Una strada lungo le campagne che erano acquitrino e forse ancora nascondono storie dimenticate.
Velocisti, l’ultima possibilità.
La pioggia che non smette, una coppia in pantaloncini corti che si è presa un po’ di transenna e si è seduta in attesa.
E l’urlo. Un abbraccio forte come un fiume in piena, sotto questa pioggia che forse vuole smettere proprio ora. Ora che sono arrivati tutti con la faccia nera di fango tirato su dalle ruote. Un abbraccio senza fine. Sacha a Max, il suo ultimo uomo. Quella volata vinta è anche un po’ sua, anche un po’ della squadra. Un abbraccio forte a chi si tiene il capitano a ruota per proteggerlo, pesce che poi devia il corso del fiume per farlo arrivare al mare.
E poi un braccio, Eugenio che lo tiene vicino al petto. E’ caduto, è rimasto a terra per un po’ su quell’asfalto che sembrava fiume, radici che lo hanno sollevato. Eugenio che non ha voluto salire sull’ambulanza, ha voluto solo la sua bicicletta per andare al traguardo. E’ arrivato così, dopo sette minuti con la divisa fradicia, con lo sguardo stanco, con il braccio attaccato al corpo. Non so cosa sarà domani mattina. Ma il ciclismo è questo. E’ tutto troppo importante per fermarsi. E’ acqua che resta, continua a scorrere nelle viscere di una terra bonificata.
Resistere.