Magazine Lavoro
È un sito (http://firma.ivaseipartita.it) che porta quel titolo ironico “Iva sei partita” ed è dedicato soprattutto a coloro che sono costretti a fingersi imprenditori autonomi, senza alcun padrone alle spalle. Esprimono non solo amarezza per una riforma del lavoro tanto reclamizzata e che loro considerano una «bolla di sapone», ma avanzano anche richieste contenute in una petizione.
Scrivono tra l’altro, anche dopo l’approvazione al Senato del ddl sul lavoro: «Alla fine della fiera, l’impressione è quella di una grande mancanza di coraggio e di una grande ipocrisia nell’affrontare la tematica delle finte partite Iva». Poco si è fatto «mentre quasi certamente per le vere partite Iva ci sarà la batosta dei contributi Inps innalzati al 33 per cento».
La loro lettera «contro il precariato legalizzato» è diretta ai diversi presidenti degli ordini professionali (architetti, ingegneri). I sottoscrittori pur essendo in gran parte titolari di Partita Iva, «svolgono di fatto un lavoro di tipo subordinato, senza nessuna autonomia, con orari di lavoro prestabiliti (spesso timbrando il cartellino), in sedi stabilite dal datore di lavoro, e fatturando questa prestazione come “consulenza/collaborazione”». Aggiungono di non godere «di indennità di malattia, disoccupazione, ferie, mensilità aggiuntive, incentivi per l’aggiornamento professionale, trattamento di fine rapporto, non possono accedere a forme di agevolazione». Eppure pagano in media l’8% in più di tasse di un lavoratore dipendente e percepiscono uno stipendio mensile inferiore a quello stabilito dalle tabelle del contratto nazionale per i dipendenti degli studi professionali, a parità di responsabilità e competenze, «senza nessuna garanzia di continuità lavorativa, senza nessuna possibilità di avviare un percorso di crescita professionale autonoma». Informano che il 73% di loro non si considera un lavoratore autonomo e non può gestire autonomamente gli orari di lavoro, il 60% è in regime di monocommittenza e nell’86% dei casi il rapporto di lavoro non è regolato da nessuna forma di contrattazione scritta.
Aggiungono: «Dobbiamo smettere di rassegnarci a una condizione che ci fa vivere in costante precarietà e frustrazione… Non si tratta di fare battaglie contro chi ci fa lavorare, ma non possiamo portare noi a testa bassa il carico di un vuoto legislativo e sociale». E ancora: «Il nostro lavoro deve essere riconosciuto, l’impegno e la passione devono poter trovare la strada per essere espresse… Dobbiamo contarci e cominciare a costruire una rete comune per poter cambiare, per vedere riconosciuto il nostro lavoro, per capire come funziona questo deprimente lunapark, per essere informati e vigili». Sono parole che riecheggiano altri concetti espressi di recente dal presidente Giorgio Napolitano. Speriamo che trovino un eco concreta nella prevista discussione ora alla Camera delle norme cui sono interessati.
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