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Giovani in Parlamento: Fuga di cervelli

Creato il 13 novembre 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online

Fuga di cervelliLa grande fuga di cervelli italiana: il 76% di chi ha meno di 25 anni vuole partire e il 66% di chi ha tra i 25 e 34 è della stessa idea. Cosa bisognerebbe fare per dare ai giovani reali possibilità di lavoro? Le nostre università sembrano più apprezzate all’estero che in Italia: perché secondo voi, e come rimediare?

Francesca Bonomo (PD)
L’emigrazione di lavoratori e studenti qualificati ha sempre fatto parte della nostra società, anche se nei decenni scorsi prevaleva quella tra una regione e l’altra. Negli ultimi anni il fenomeno della “fuga di cervelli” verso l’estero sta raggiungendo dimensioni preoccupanti, determinate più dalla carenza di opportunità di medio-alto livello che da una vera scelta. Per arginarlo dobbiamo dare maggiore dinamica al mercato e mettere le imprese, anche quelle estere, nelle condizioni di investire e assumere lavoratori qualificati. Servono scuole in grado di preparare studenti con competenze subito spendibili sul mercato. Non si può pensare che lo Stato possa sostituire il settore privato o programmare sviluppo ignorando la dimensione europea. Dobbiamo affrontare in tempi brevi le riforme economiche da una parte e il rilancio delle scuole superiori e accademiche, basandoci sul merito e sugli investimenti in innovazione, razionalizzando le strutture e rimuovendo posizioni di rendita e veti corporativi.
Un esempio concreto: negli ultimi 5 anni molte aziende nel territorio della provincia di Torino hanno dimezzato i posti di lavoro. Nello stesso periodo però, le risorse rimaste nelle casse degli istituti di credito sono aumentate proprio a causa dell’incertezza della situazione attuale. Se noi immaginassimo di dare quei fondi accantonati alle aziende per fare investimenti su ricerca e innovazione aziendale, riusciremmo ad aumentare la qualità e la quantità di lavoro sul territorio, rendendo più competitive le nostre aziende nello scenario internazionale.


Lara Ricciatti
(Sel)
Non esistono bacchette magiche. É impensabile che questo problema possa essere risolto con un unico provvedimento. Sarebbe necessaria una vera e propria rimodulazione sistemica degli incentivi alle imprese, che non possono evidentemente solo tradursi in (scarsi) sgravi fiscali.
Il nostro paese sconta una scellerata politica anche degli industriali, che oggi si lamentano.
Il problema è che il nostro mercato del lavoro, così come è strutturato, non è in grado di assorbire personale altamente qualificato che non sia quello tecnico.
Tante professionalità costruite con fatica negli anni di studio, vengono svalutate al momento dell’assunzione: pagare mille euro un laureato in economia con un master in finanza non è evidentemente il modo migliore per costruire un futuro di sviluppo.
Non è raro osservare giovani neolaureati, con master e magari esperienze all’estero, assunti con contratti di apprendistato. Con dei tutor spesso molto meno qualificati degli apprendisti. Credendo di risparmiare sul costo del lavoro queste realtà imprenditoriali condannano se stesse a una bassa competitività, frustrando la parte delle risorse umane potenzialmente più creativa ed innovativa.
I mercati del lavoro di altri contesti europe puntano a valorizzare le competenze, non a sminuirle.
Non è un caso che le migliori realtà produttive italiane, abituate a competere con i mercati esteri, investano tantissimo sul personale qualificato. Quello che molti giovani professionisti cercano non è il posto fisso, ma la possibilità di esprimere il proprio potenziale e vederlo retribuito e incentivato giustamente.
Le misure da adottare quindi sono diverse: da una rimodulazione delle forme contrattuali a incentivi selettivi per le aziende che realmente investono sul proprio futuro.
Tali incentivi non possono essere erogati come un semplice premio per il fatto stesso che si assume però: bisogna incentivare gli imprenditori veri, a scapito degli speculatori, che non abitano solo la finanza, ma anche l’economia reale.

Emanuele Prataviera (Lega Nord)
Alla questione aggiungerei un’ulteriore punto di vista: non tutte le Università sono uguali. Io legherei il sistema educativo al territorio. L’ho detto anche l’altro giorno durante la discussione sul Decreto -Istruzione. Questo sarebbe utile per migliorare il sistema e mettere in rete le aziende e gli studenti/futuri lavoratori. Abbiamo bisogno di scosse da parte del sistema. Oggi si procede a vista senza una riorganizzazione complessiva. Pensiamo all’Italian Sounding: cioè ai prodotti alimentari che “taroccano” nel mondo i nostri prodotti DOC, DOCG, IGP, etc.
È un mercato da 60 miliardi. Se riuscissimo ad aggredire il problema e a realizzare il 10% del risultato avremmo 6 miliardi di € in più per fare business e creare impiego. E questo non significa creare nuovi “contadini” ma inserire giovani professionalizzati come ingegneri informatici, chimici, laureati in marketing o in lingue etc., migliorare i trasporti e così via. I giovani se ne vanno, secondo me, perché non vedono nulla di tutto questo, non capiscono da che parte la barca stia spiegando le vele (e sopratutto, se le ha spiegate).

Non abbiamo ricevuto le risposte dell’Onorevole Giulia Sarti (M5S) sull’argomento, ma saremo felici di integrarle non appena le perveniremo.

Come vivono la politica i giovani in parlamento? Quali decisioni prendono, come interagiscono con i “veterani” della Camera? Sono davvero in grado di portare idee nuove e fresche in uno dei Parlamenti più vecchi d’Europa? Con questa rubrica cercheremo di dare una risposta e queste domande, ponendo questioni su temi caldi e attuali a giovani esponenti delle forze politiche che ci governano.
Una risposta per volta. Una domanda per tutto.


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