Prima parte: http://wordsocialforum.com/2014/11/25/giovani-prospettive-alex-stoddard-omaggio-di-parole-prima-parte/
Morte in rosso di Alessia Marino
Il tempo fugge e la vita ti scivola dalle mani ogni istante nell’inesorabile susseguirsi di minuti, ore, giorni. Concetti formalmente riconosciuti vedono un barlume di praticità nel momento esatto in cui tutto sta per finire, in cui la vita sta per spegnersi. Inesorabile, come l’acqua che precipita da una cascata, quel tremendo momento arriva per tutti. C’è chi lo implora e chi lo teme. Chi lo ha sfiorato e chi non ci ha mai nemmeno riflettuto.
L’inconsistenza della nostra esistenza prende forma nel momento in cui finisce.
È come un concetto o un pensiero che diventa reale solo e soltanto quando smette di essere se stesso: quando trasmigra da uno stato di trascendente eternità ad uno di tangibile consistenza. Una parola che si forma nella nostra testa smette di essere un pensiero nel momento in cui la enunciamo.
Noi smettiamo di essere umani quando la morte ci accarezza il viso.
Rammento poco della mia mortalità; in quanto materia impalpabile mi è possibile riportare alla mente solo le sensazioni. Le immagini, le voci, le persone della mia vita si schiudono solo se legate ad impulsi neurali più forti. Un sentimento d’amore, come quello che provavo per mia madre e i miei fratelli, è così potente da farmi ricordare i loro volti; allo stesso modo la rabbia, l’odio, la disperazione, il dolore, la felicità estrema fanno sì che altri tipi di immagini prendano possesso della mia coscienza, di quella che in vita chiamavo mente.
L’unico momento che mi appare nitido, senza ombre o sfocature, è quello della mia morte. Ho provato, con tale forza e irruenza, una gamma eterogenea di sentimenti che hanno fissato per sempre nel mio essere quella sequenza. Non so ancora il motivo della mia dipartita, ma l’ho accettata: evidentemente doveva andare così. Non conosco, di conseguenza, nemmeno la causa fisica. Io non lo so come sono morto! Riesco a sentire, però, sempre tutte le emozioni che mi circondavano prima che smettessi di essere corpo.
Il dolore fisico, il senso di asfissia e la spossatezza prima dell’abbandono finale sono state preponderanti. Ricordo di essermi accasciato sul suolo umido, mentre una fitta nebbia riempiva l’aria intorno. Non comprendevo cosa accadesse e la rabbia cominciava a farmi ribollire il sangue; poi arrivò la conoscenza e la disperazione si impadronì della mia psiche. Sapere non è potere, non sempre almeno: spesso mi chiedo se l’ignorare poteva rendere più tranquilla la mia transizione.
Poi la vidi. Apparve poco prima del nulla eterno. La vidi quando la nebbia cominciò a diradarsi: il vestito rosso e la maschera antigas sul viso. Mi sembrò la creatura più sublime e tremenda che avessi mai visto. Non so chi fosse, non so nemmeno se fosse reale, ma la ricordo ancora con una punta di affetto.
Lei fu l’ultima splendida cosa su cui i miei occhi si posarono.
Lei fu per me il punto finale della mia esistenza. La mia morte in rosso.
Sono le notti
senza alberi
che mi induriscono la vista,
quando le mani
sono larve
e ci vedo attraverso
e il sangue brucia
da sotto i vestiti
stingendosi.
Sono le notti
senza te
che chiamano la follia
che mi mangiano la pelle
tenera
lasciando nude
le ossa della carne.
Hai il corpo dell’amore
dicevi appoggiato all’ultimo gemito.
Ho il corpo che mi hai tolto.
di Antonella Lucchini
Così breve vita ,
è un piacere prezioso muschioso incontrare un albero ,
qui consegnerò all’angelo l’ultimo volto
che porterò con me quando uscirò dal tempo ,
un tale abisso è la gioia ,
là dove i lillà piegati da molti anni dondoleranno carichi di violetto
e le pervinche fiorite nei vuoti tronchi saranno ,
come me , interrate sotto l’erba che si affretta .
Conobbi la mancanza , la divinità e la gloria
ma seminai pene e persi la mia luce e la mia lingua alla corte dell’uomo .
Ora le stagioni spostano il mio sguardo sul ramo di smeraldo
e sono io stesso il prato l’erba e il canto .
di Emanuela Perri
Talvolta è meglio non sapere
rimanere bambini
talvolta è meglio non vedere
e respirare piano
per non svegliare l’ombra
al di là della nebbia
talvolta è meglio rimanere muti
lasciar correre i sogni
che raccontino fiabe e desideri
che un mondo senza sole non raccoglie
Se sarai grande e forte
di un sereno sentire
potrai librarti nel chiarore grigio
che ci accompagna e fremere
regalando la musica che scorre
dalle tue mani calde
regalando il sorriso che schiarisce
questo cielo appannato
regalando la gemma che si schiude
nel bosco senza vita
di Guido Mura
M’è testimone il mare di Rosaria Iuliucci
C’è stato il mare a remarmi contro
e la terra a tenerne conto
che ora non so più come tenere le mani ferme
il corpo teso e la mente vuota
in quest’oblio che mi adorna il cuore
di un metallo che mi avanza dentro
e non mi lascia libera di morire
Mi son fatta d’amore / da sola
Mi son bucata le vene / con il terrore
Mi sono sommersa nella piena
delle mie stesse pozzanghere di pianto
Ma c’è ancora un fluido che m’assorbe dal pio dolore
Un ritrovo di furie in costante attesa
di questa massa d’ossa che si lega alle stelle
nelle ultime notti in cui
essere normale è una fame contorta
evacuata dalla bocca
e piegata come la luna
Area di sosta di Simona Di Profio
Accusa il suo malanno
la lucciola votiva
accenna all’alba
al canto blu delle sirene
il valico, il pendolino
sotto solenne ipnosi
il divenire diluì
negli occhi in processione
E perorava in testa
l’oscillazione fumigante
dell’incenso
così, tutti arrestarsi:
si celebrarono i viluppi verdi
fu posto nuova aggiunta
all’ombra del curvone
un veto segnaletico di croci.
Il mio centro spara
paura fuori controllo,
fino alla nuca sale
e non c’è nulla che mi stupisca,
ché tutto è come uno zero piatto e tondo
che fa cadere il mondo
addosso e contro laterale
sul briciolo di giudizio che mi rimane,
fuori dalla porta del giorno
diurno del centro,
sghembo.
di Sonia Lambertini