Nella prima metà del 1700, ai Qualificatores del Sant’Uffizio arrivarono diverse denunce contro una certa Giovanna Maria Podda di circa sessant’anni, nativa di Guasila, “bruxia” operante in Trexenta, a San Sperate e Cagliari.
La maggior parte delle denunce a suo carico arrivarono dai curati dei vari paesi in cui Maria Podda operava. Non si sa che sorte toccò alla povera Maria, probabilmente veniva di volta in volta allontanata da un paese all’altro con il “destierro”.
Il primo di 14 verbali custoditi nell’archivio arcivescovile di Cagliari riporta la denuncia di Antonio Maria Carta, nativo di Sorgono e subdiacono, il quale dichiarò di aver visto Maria Podda circolare di notte per le vie di Stampace, precisamente in Via San Bernardo, la quale scalza tracciava dei segni per terra. Era il 1734.
La Podda confessò alcune sue pratiche stregonesche quando nel 1738 dichiarò di aver usato del sangue mestruale per ammaliare proprio Antonio Maria Carta. Quest’ultimo si rivolse poi a Maria Podda per guarire da una malattia e a tal fine mandò suo padre dalla fattucchiera affinchè questa sputasse in un recipiente d’acqua che poi Antonio bevette, dichiarando che tale pratica migliorò le sue condizioni di salute.
Nell’aprile del 1738, il parroco di Selegas inviò una lettera al Santo Uffizio, in cui riporto la deposizione di Rosa Chicu la quale raccontò che Maria Podda si presentò a casa sua, sapendo che la Chicu stava per essere licenziata dal padrone dell’osteria dove lavorava e le offrì un rimedio per evitare ciò, dietro compenso di 7 soldi. Il rimedio consisteva nel prendere tre pietre da tre crocevia nella giornata di Pasqua e consegnarle alla Podda.
Un altro parrocco, Thomas Atiana di Senorbì, inviò un verbale in cui un maestro, Francesco Orrù, denunciava Maria in quanto questa intendeva guarire la moglie del denunciante tramite alcune magie. Per tale servigio chiese dei soldi, minacciando di far loro del male tramite arti magiche se questi si fossero confidati con altre persone.
Giuseppe Salis, frate e minimo Calificador del Sant’Uffizio, riportò la deposizione di Domenico Porqueddu, nell’aprile del 1741. Porqueddu, residente a Suelli ma nativo di Cagliari riferì che due anni prima Maria Podda aveva evitato l’arresto di un uomo utilizzando le sue arti magiche con rituali basati sulla terra e su ossa umane.
A San Sperate il parroco era Antiogo Sechy, il quale denunciò che Giovanna Hecca disse di aver sentito la Podda recitare dei brebus per curare persone e animali.
Un altro parroco di San Sperate, Antonio Puera, si accanì particolarmente contro Maria, spedendo diversi verbali con deposizioni di suoi concittadini, all’Arcivescovado di Cagliari.
I verbali coprono l’arco di tempo che va da gennaio 1738 ad aprile 1742. Il primo riporta la deposizione di Antonia Maria Sechy contro Maria Podda la quale praticò la medicina dell’occhio sulla figlia della denunciante, con successo. Sempre nello stesso verbale Giuseppa Ecca dichiarò di aver chiamato Maria per curare un cavallo del padre. Anche in questo caso la pratica andò a buon fine.
Il zelante parrocco Puera verbalizzò la deposizione di Bernardino Zucca. Costui affermo che tale Rosa Malochy gli riferì che Maria Podda si era recata dalla zia per fare una magia sulle galline in modo da migliorare la qualità delle uova.
Maria Ignazia Trudu, nativa di Villasor invece dichiarò al solito parroco che avendo perso un escritto donatole da un uomo religioso, chiese aiuto a Maria Podda che tramite oscuri rituali l’aiuto effettivamente a ritrovarlo. Inoltre disse anche di essere stata liberata dal malocchio dalla stessa Podda. Confermò anche la deposizione precedente di Bernardino, dicendo di essere stata presente al momento del rituale per le uova.
Paradossalmente, anche nel verbale redato il 19 aprile del 1742, Lucia Figus dichiarò che Maria liberò il figlio dal malocchio. Raccontò che la bruxia tenne in su le braccia del bambino e gli soffiò il bocca, quindi si fece portare una scodella, dell’acqua, grani di frumento, una palma benedetta ed una moneta. Mise tutto dentro la scodella mormorando dei brebus e dopo applicò l’acqua su tutte le giunture del bimbo. Ripetè la pratica per tre giorni consecutivi.
Ignazio Pilia riferì di essere guarito da uno stato di malattia grazie alla stessa pratica magica.
Probabilmente il prete di San Sperate verbalizzava e spediva a Cagliari delle semplici confessioni e voci circolanti in paese per la paura di perdere, a causa della fama di Maria Podda, la sua influenza sui devoti. Non si spiega perché delle persone che avevano ricevuto dei benefici dalla medicina popolare praticata dalla donna di Guasila poi andassero sistematicamente a denunciarla.
Tratto da: Inquisizione sarda nel ‘600 e ‘700 – Luigi Solinas