Recensione di Alessia Caputo
Come si misura la bontà di una persona? Il modo in cui ama, quello in cui soffre? Come si condivide una vita?
A volte anche solo con i pensieri.
Davide ha nove anni e la sua vita è in pausa dal giorno in cui la mamma lo ha costretto ad andare a comprare le cose nuove per la scuola e hanno avuto un incidente. Lei ne è uscita illesa lui è finito in coma. E così, per Davide i pensieri dal giorno dell’incidente sono la sua unica e personale porta scorrevole sul mondo, sui sentimenti, sulle emozioni.
«Sono arrivato in questo reparto un po’ prima di Natale. Ero già stato in terapia intensiva, dove c’erano Bianca, Stefano e tutti gli altri. Lì ho trascorso tanti mesi, da settembre a dicembre. Bianca è l’infermiera bionda che si era lasciata col fidanzato e all’inizio, di notte, piangeva sempre. Stefano ha il pizzetto e l’orecchino e fa le scalate in montagna. Poi c’è Giuli, che tutti la chiamano così, Giuli che è un po’ grassa, ma ha le mani calde. E Luisa, che è quella sposata all’anestesista con la barba, ma quando lei non è in turno lui dice le cose dolci a Bianca. Maurizio che ha tre bambini e adesso vuole fare un altro bambino, così esce maschio, ma la moglie non vuole. E anche Sandra, Lucia, Chiara, Luca, Alberto e Claudia, che è un’altra che vorrei per fidanzata. Che io stavo tanto male l’ho saputo da Bianca, mentre lei parlava con Stefano la prima notte che ero lì».
Davide è il testimone privilegiato del lettore a cui in questo libro, esordio commovente di Giovanna Zucca, è implicitamente chiesto di tacere e osservare. I suoi occhi sono una volta quelli di Davide, una volta quelli dei genitori di Davide, spaventati, fiduciosi, arrabbiati, una volta quelli del “cafone”, il dottor Bozzi.
Un punto di vista itinerante, che stupisce ma non disorienta.
La trama non è complessa. È la storia di un recupero, è una storia di guarigione. Ma chi guarisce chi da cosa?
Il dottor Bozzi, neurochirurgo eccezionale, cerca di guarire Davide, ha un pessimo carattere, ma è bravo. E per fare questo lavoro, per salvare una vita non c’è bisogno di essere gentili, bisogna avere i nervi saldi. Il “cafone” però sembra non aver fatto i conti con il paziente che ha deciso di aiutare. Tra i due si crea un legame speciale. Davide vuole accontentarlo, il “cafone” come lo chiamano tutti, perché nel suo mondo la bontà si misura anche solo dal calore delle mani.
«Poi si avvicina: ormai sono abituato… quindi apro l’occhio da solo, perché tanto lo so che mi deve guardare dentro.
Allora succede una cosa strana.
Il dottore antipatico era mezzo girato verso le carte e non mi ha visto bene mentre aprivo l’occhio, ma poi si volta di scatto e mi fissa.
Giuliano è un po’ lontano a prendere una cosa che lui gli ha chiesto e non è ancora tornato.
Il cafone sta fermo a guardarmi con la faccia strana, come se non ci crede che ho aperto l’occhio. Parlo sempre di un occhio solo perché l’altro, anche se provo, non si apre.
E mi guarda, mi guarda…
Poi volta la testa da un lato e fa finta di non aver visto bene, ma quando si gira di nuovo io l’occhio lo tengo ancora aperto.
Allora si accorge che lo sto guardando e mi guarda anche lui.
Siamo da soli, e lui ride e dice “sììì!”, e fa un gesto col pugno chiuso, come l’allenatore quando segno un gol difficile.
Se ne sta a guardarmi fino a che non torna Giuliano, e intanto ride con i denti bianchi e quelli davanti un po’ grandi come i miei. Mamma mi chiama coniglio perché ho le palette davanti. E mi dice di lavarmeli sempre, se no diventano neri e quando sarò grande, se avrò i denti neri, nessuna fidanzata mi vorrà per marito. Allora il cafone ha un sacco di fidanzate con quei denti bianchi.
Ma soprattutto quando mi guarda, mi accorgo che mi vuole bene. Ha lo stesso modo di guardarmi del nonno, con le palpebre abbassate, che sembra ti deve dire di no e poi invece ti dice sì.
Poi mi fa la solita visita ai piedi e al dito grande.
Mani calde.
E mi guarda sempre. Alla fine si siede su un pezzettino di letto a fianco a me e mi fa l’occhiolino».
Il dottor Bozzi non crede più né all’amore, né alla bontà. Pensa solo al suo lavoro, ha una casa spoglia, vestiti che non indossa mai, ha una storia con Patti, una prostituta che periodicamente va a trovare solo per avere un po’ di compagnia. Ha una figlia, Susan, di cui conserva una foto per ogni anno della sua vita, ma che non ha mai voluto conoscere. Davide sconvolge la sua vita. Lo guarisce. Lo cambia così tanto che anche tutti i colleghi e gli infermieri, gli stessi genitori di Davide, si chiedono cosa gli stia accadendo.
Mani calde è un romanzo falsamente leggero, scritto bene che regala al lettore, una coppia di personaggi insoliti e speciali, un lieto fine prevedibile ma non del tutto scontato e la speranza che a volte essere immobili e incoscienti in un letto d’ospedale non vuol dire per forza smettere di vivere.
Nota sull’autore
Piemontese di nascita ma veneta d’adozione, Giovanna Zucca presta servizio in sala operatoria come infermiere strumentista e aiuto-anestesista. Si è laureata in Filosofia, una disciplina che coltiva con passione. Mani calde è il suo primo romanzo.
Per approfondire:
leggi la recensione sul Corriere della Sera
leggi la recensione su D di Repubblica
Giovanna Zucca, Mani calde
Fazi, 2011
pp. 250, euro 16,50