Intervista di Roberto Paura, per il blog Fabbricanti di Universi (v. qui)
- Giovanni Agnoloni è uno degli studiosi più attenti e originali dell’opera di Tolkien. Ai DelosDays ha presentato i suoi ultimi lavori. Partiamo da Tolkien e Bach. Dalla Terra di Mezzo all’energia dei fiori, Galaad Edizioni. Il rapporto tra J.R.R. Tolkien e Edward Bach, il medico che ha dato il proprio nome agli effetti terapeutici di alcuni fiori, può sembrare un po’ spiazzante, ma qual è invece il collegamento?
E’ un libro che sicuramente vuol essere anche una provocazione, questo va da sé; al di là di questo aspetto, il nesso che ho individuato tra queste due figure è un nesso di natura filosofica, psicologica e spirituale. Ci sono certo anche circostanze biografiche in comune: Bach è nato a Moseley nel 1886, mentre Tolkien ha vissuto lì un breve lasso di tempo, tra il 1900 e il 1901, e il motivo dell’avvicinamento alla città (Moseley era ai margini della Birmingham di allora, mentre la ben più ridente Sarehole, dove i Tolkien avevano vissuto dal 1895, arrivando dal Sudafrica, era un po’ fuori), fu che il bambino doveva iniziare a frequentare la King Edward’s School. Sono quindi cresciuti nella stessa campagna, assorbendo le stesse “vibrazioni energetiche” dell’ambiente, e poi nelle loro vite ci sono tante coincidenze significative. Ma il vero nesso si basa sul tema degli archetipi, sul tema delle emozioni umane e dei modelli di comportamento che tutti gli uomini condividono alla luce della psicologia junghiana, in quanto tutti compartecipi di un inconscio collettivo da cui sorgono le immagini, i miti, che fin dai tempi più antichi danno espressione alla nostra parte profonda. Tolkien è stato un grande mitopoieta: attraverso i personaggi, luoghi e oggetti della Terra di Mezzo ha fotografato l’animo umano da tanti diversi punti di vista. Bach è stato un grande innovatore – lo chiamavano il secondo Hahnemann, dal nome del padre della medicina omeopatica – perché ha raggiunto un livello terapeutico ancora più sottile: non si è “limitato” a individuare dei rimedi che curassero le malattie e i problemi con una componente (sia pur minima) dello stesso principio che causa la malattia, ma è andato a scoprire in natura delle essenze naturali che in realtà non contengono sostanzialmente nessuna parte materiale del principio medicamentoso ma una componente vibrazionale. Bach prendeva diversi fiori – ne ha individuati 38 – a ciascuno dei quali “sentiva” una risonanza con determinati effetti del carattere; li andava a mettere in una bacinella d’acqua alla luce del sole, lasciava che assorbissero l’energia solare e da lì preparava delle tinture madri. Posso dire, alla luce di una pluridecennale esperienza personale e di tanti altri casi che ho conosciuto, che l’efficacia è assolutamente vera e che va appunto a toccare degli archetipi, coinvolgendo tanti altri aspetti dell’animo umano.
- Tolkien teneva molto al ruolo della natura, anche delle piante che si collegano alla personalità e hanno funzioni terapeutiche. Lo si legge nelle pagine in cui Aragorn cura prima Frodo e poi Eowyn con la “foglia di re”.
Assolutamente sì, anche se con Tolkien direi che siamo più sul fitoterapico piuttosto che sul floriterapico: lo si vede nella parte finale del Signore degli Anelli, ambientata nelle Case di Guarigione, dove appunto l’intervento di Aragorn in funzione di terapeuta passa attraverso le foglie di athelas. Si tratta di rimedi che hanno sicuramente una componente vegetale, naturale: ciò che vi è di più e di specifico nella floriterapia è proprio l’aspetto vibrazionale. È medicina che però passa attraverso effetti più sottili. Non si tratta cioè di energie misurabili attraverso strumenti di rilevazione di qualsiasi tipo. È un’energia di tipo sostanzialmente mentale, spirituale, che si percepisce a livello intimo. Questo lo può dire soprattutto chi ne fa uso, sviluppando una particolare sensibilità, e davvero si sentono con immediatezza gli effetti: il paradosso è che, in risposta a chi sostiene la teoria dell’effetto placebo, mi è capitato qualche volta per errore di non prendere il fiore che dovevo prendere ma di prenderne un altro senza accorgermene, sentendomi tuttavia a disagio, non a posto. Andando poi a controllare ho scoperto che avevo preso la boccetta sbagliata. O anche, una volta ero dal mio terapeuta a fare un test kinesiologico che si usa per individuare i rimedi: in pratica si tocca con il dito di una mano tante boccette diverse senza sapere quali sono, mentre si tiene l’altro braccio sollevato, e il terapeuta verifica se il braccio, spinto, va libero o si blocca. Se si blocca vuol dire che c’è un blocco energetico sulla frequenza di quel determinato fiore e si lavora allora su di esso. Mi è capitato che, mentre si faceva un test per verificare se i blocchi della volta scorsa fossero ancora presenti o meno, né lui né io sapevamo quali fiori stessi toccando in quel momento, ed entrambi ci siamo bloccati proprio sulle boccette della volta precedente. Eravamo in doppio cieco: sia il paziente che il terapeuta erano entrambi ignari di ciò che stavano facendo ma è venuta fuori una cosa coerente con il risultato dell’incontro precedente. Quindi il mio approccio comparativo si basa sulla convinzione che non vi sia in realtà una differenza tra la buona letteratura e la medicina olistica. Sia l’una che l’altra lavorano sulle energie mentali. Vi è chi lavorando con la pura meditazione, andando oltre le essenze floreali ma concentrandosi su una determinata parola o frase, riesce a smuovere energie mentali, perché in realtà – ne parlo nell’ultimo capitolo – ciò che è veramente determinante è la misura in cui si è consapevoli e partecipi del processo. Quindi, se tu assumi un fiori, leggi un libro o ti concentri su una determinata frase che risuona con te, consapevolmente, questo atteggiamo di compartecipazione emotiva smuove le cose dentro di te. Si parla proprio di fenomeni di fisica quantistica: è possibile passare a uno stadio nuovo, aprendo prospettive che prima non vedevi. Tolkien stesso affermava qualcosa del genere quando, recependo le teorie dell’altro Inkling Owen Barfield (come ha sottolineato Verlyn Flieger in Schegge di luce, ed. Marietti 1820, 2007), affermava che il vero scrittore feerico, il buon scrittore fantasy, è colui che riesce con la sub-creazione a riportare a quell’originaria fusione tra parola e oggetto rappresentato. Una volta le parole e gli oggetti che essi rappresentavano erano tutt’uno. Poi si è creata una scissione che ha fatto della parola un significante scorporato. Lo scrittore fantasy e le terapie olistiche ci fanno uscire da queste scissione, dalla banalità del quotidiano che è una banalità scissa, per riprendere consapevolezza dell’unità del tutto. In questo modo è possibile riacquistare un’armonia che è anche salute.
- Passiamo a Nuova letteratura fantasy, ed. Sottovoce (già Eumewsil), che segue il successo del precedente Letteratura del fantastico. I giardini di Lorien (ed. Spazio Tre), del 2004.
Sì, in Letteratura del fantastico il rapporto era tra Tolkien e i classici, dai greci al neorealismo passando per i latini, Dante, il Rinascimento, il Romanticismo. C’era un excursus che mirava a individuare affinità, assonanze, corrispondenze, che facessero da ponte tra autori che avevano parlato in sostanza del mondo reale, non di un mondo immaginario, ma attraverso una capacità evocativa dal punto di vista mitico, a prescindere dagli elementi strettamente fantastici come già nell’Odissea, per esempio. In Nuova letteratura fantasy il raffronto viene fatto tra Tolkien e autori del XX secolo, e anche del XXI in alcuni casi, stranieri, come Hermann Hesse, José Saramago, Paulo Coelho, Banana Yoshimoto, Joseph O’Connor, Manuel Vázquez Montalbán, Gabriel García Márquez, Cees Nooteboom, Jostein Gaarder. Tutti stranieri di diverse culture letterarie, escludendo italiani e americani, per il semplice fatto che sono culture che conosciamo bene e questo poteva costituire un limite alla nostra capacità di evadere e di immedesimarci in mondi paralleli che poi sono, in fin dei conti, il nostro. Questi scrittori realistici hanno saputo ingenerare in noi lettori, così come Tolkien parlando di un mondo immaginario, la sensazione e la percezione di “uscire” per poi rientrare: Evasione, Ristoro e Consolazione. Un percorso sub-creativo che ci permette di riscoprire la realtà nella sua essenza luminosa, energetica. Loro l’hanno fatto parlando della nostra terra, Tolkien parlando di una terra immaginaria che però lui stesso diceva essere il nostro mondo visto in una fase archetipicamente primitiva: la Terra di Mezzo è l’oikoumene abitata dagli uomini, la middel-erde sassone è una realtà in cui tutti noi viviamo. La Terra di Mezzo è cioè imbevuta della stessa energia di cui è fatto il nostro mondo. In questo consiste il ristoro, il momento del ritorno, e poi c’è quella scintilla di “oltre” che è la consolazione, quest’elemento spirituale, la svolta inaspettata, l’eu-catastrofe, che apre una visione di gioia oltre il buio del mondo.
- Chiudiamo con un breve cenno alla raccolta di saggi Tolkien. La Luce e l’Ombra, appena pubblicato dalle edizioni Senzapatria e curata proprio da Giovanni Agnoloni.
Sì, qui i pezzi forti sono di tutti gli autori, alcuni importanti a livello mondiale come Michael Drout, John Garth, Colin Duriez, Thomas Honeggher, Patrick Curry, Michaël Devaux (fondatore della Società tolkeniana francese), ma anche italiani come Roberto Arduini, presidente dell’Associazione Romana di Studi Tolkieniani, o Guglielmo Spirito, Vice Preside dell’Istituto Teologico di Assisi, e Gino Scatasta, docente di letteratura inglese. Sono saggi che toccano il binomio luce-ombra che è uno di quelli fondanti del Signore degli Anelli, come morte e immortalità, di cui parla La falce spezzata (ed. Marietti 1820, a cura di Roberto Arduini e Claudio Antonio Testi). Insieme a quello, credo che La Luce e l’Ombra sia l’opera più evoluta in Italia nel campo degli studi specifici su Tolkien.