Gabriele D’Annunzio
Gabriele D’Annunzio nasce a Pescara nel 1863 da una famiglia della borghesia terriera. Dopo aver conseguito la licenza liceale, pubblica, ancora giovanissimo, scrisse il libretto poetico Primo vere (1879). Fra le opere più famose, ricordiamo le liriche del Poema paradisiaco (1893) e del suo capolavoro Alcyone (1903). Fra i romanzi, citiamo invece Il piacere (1889), Giovanni Episcopo (1891), L’innocente (1892), Il trionfo della morte (1894) e Le vergini delle rocce (1895). Personaggio istrionico, D’Annunzio viene ricordato non solo per le sue opere ma anche per il suo programma di una vita inimitabile ed esteticamente perfetta. Circondato da lussi e ricchezze, D’Annunzio si renderà protagonista di una serie di spregiudicate avventure romantiche e belliche. Nel 1883 rapisce la contessina Maria Hardouin di Gallese, che sposerà quello stesso anno; ma celebre è anche la sua storia con l’attrice Eleonora Duse, che diventerà la sua amante. Nel 1915 prende parte alla Grande Guerra, partecipando a numerose imprese terrestri, navali e aeree, dal volo su Vienna all’occupazione di Fiume. Dopo Fiume, abbandona la vita politica e mondana, ritirandosi a Gardone, nella villa del Vittoriale, dove si spegne nel 1938.
Titolo: Giovanni Episcopo
Autore: Gabriele D’Annunzio
Edito da: Mondadori
Prezzo: 8.00 €
Genere: Narrativa
Pagine: 82 p.
Voto:
Trama: Giovanni Episcopo è un impiegato umile e sottomesso al volere dei colleghi, del prepotente Giulio Wanzer e dell’infedele moglie Ginevra. Reagirà a questi soprusi solo quando sarà troppo tardi, perché il suo tentativo di difendere il figlio Ciro da nuove angherie sfocerà in un tragico epilogo.
Recensione
di Johannes de Silentio
«In certi momenti, Dio mi perdoni, io ho sentito in me qualcosa di Gesù. Io sono stato il più vile e il più buono degli uomini».
Dopo il successo del controverso Il piacere (1889), Gabriele D’Annunzio scrive Giovanni Episcopo (1891), un romanzo breve che, ispirato al racconto-confessione degli autori russi, narra in prima persona la triste storia di un impiegato vessato dai colleghi e mortificato dall’umanità in generale. Quella di Giovanni, però, è una confessione in senso letterale, perché il romanzo si apre in una stazione di polizia, dove il nostro protagonista, stanco e stravolto dai fantasmi che turbano i suoi sonni, inizia a raccontare la sua vicenda…
Una sera, alla pensione dove era solito cenare coi suoi colleghi di lavoro, Giovanni Episcopo viene maliziosamente spinto da questi a corteggiare Ginevra Canale, la cameriera della pensione. Spalleggiato dalla sua cricca di canaglie, il risoluto e arrogante Giulio Wanzer annuncia infatti di voler dare in moglie la bella Ginevra ad un povero diavolo «che la sposi… per conto degli altri». Umiliato e preso in giro dalla combriccola, Giovanni non saprà ribellarsi in alcun modo, né sarà in grado di opporsi alle imminenti nozze, quantunque, a fidanzamento compiuto, avesse ben inteso che le reali intenzioni della donna erano tutt’altro che quelle di onorare il matrimonio.
Passano gli anni, e Giovanni diventa sempre più succube di Ginevra e di Giulio, il suo aguzzino di sempre. Eppure, Giovanni Episcopo, «uomo dolce e miserabile» secondo le parole dello stesso D’Annunzio nella dedica a Matilde Serao, sembra dare amore in misura direttamente proporzionale al disprezzo che riceve in cambio e, nondimeno, non riuscire a smettere di amare il prossimo. Ma sarà proprio in virtù del suo incondizionato amore per gli altri, e per i miserabili in particolare, che Giovanni inizierà a frequentare Battista, il patetico patrigno di Ginevra, ritrovandosi a subire una seconda schiavitù, dopo quella conosciuta per mano di Giulio Wanzer.
Per tutta la vita succube e servile, Giovanni avrà un moto di ribellione solo quando Giulio prenderà a maltrattare il piccolo Ciro Episcopo. Pur avendo sempre dubitato della sua effettiva paternità del bambino, Giovanni reagirà furiosamente a questo gesto…
Ho trovato questo romanzo estremamente interessante perché, nelle pagine che lo compongono, D’Annunzio abbandona totalmente i temi che l’hanno reso celebre (edonismo, estetismo, superomismo), nonché la retorica magniloquente che a volte infastidisce. Giovanni Episcopo è un “romanzo d’analisi” che, come accennato in apertura, riprende la forma scrittoria dei narratori russi.
Ulteriore motivo di interesse, tuttavia, è la differenza che intercorre tra Giovanni Episcopo e un personaggio come Akàkij Akakièvic, il povero copista de Il cappotto di Gogol’, perché l’antieroe dannunziano appare più consapevole della propria situazione, del posto che occupa in società e di come appare agli occhi degli altri. Nei pensieri e nei giudizi di Episcopo si riscontrano, infatti, la consapevolezza della propria viltà (principale causa di quella neanche tanto velata e sottesa disistima di sé) e, al contempo, l’orgoglio per la propria nobiltà d’animo (che lo separa dalla bassezza spirituale e intellettuale dei suoi colleghi), così che il lettore, a questo punto, è capace persino di identificarsi con lui, in quanto ne riconosce la dignità morale e ne condivide i valori.