GIovanni Segantini, Le due madri
"Affine elettivamente al Millet più che al Mauve, fu di quei più schiettamente emotivo, più virile. Quelle altezze e quelle solitudini, fatali alle vertigini del superuomo, allo smarrimento e alla follia di Nietzsche, furono a Segantini sorgente di calma suprema, altare di natura su cui si spiritualizzò, purificò il suo essere, adorò il mondo e la vita col suo panteistico misticismo che, in un unico fervido abbraccio francescano, tenne l’acqua e le erbe, le nubi ed i ghiacciai eterni, l’alta voce ed il gran pianto delle foreste, gli animali ed il sole, le opere, la vita, i giorni, il dolore e la morte."G. Delogu, Pittura italiana dell’Ottocento, 1958
Giovanni Segantini, la morte
Nato il 15 gennaio del 1858 ad Arco, in Trentino, Giovanni Battista Emanuele Maria Segatini (la “n” del cognome con cui è noto fu aggiunta più tardi per assecondare il soprannome “Segante” con il quale Giovanni fu chiamato dai compagni dell’Accademia di Brera) subisce, durante l’infanzia, una serie di traumi che contribuiranno a trasformare la sua vita da adulto in una continua ricerca di equilibrio, di lusso sfrenato e di isolamento lavorativo. A sette anni perde la madre, Margherita de’ Girardi, morta in seguito a una grave malattia nel 1865. In aprile, il padre, Antonio Segatini, venditore ambulante di chincaglierie in perenne crisi finanziaria, decide di portare a Milano il piccolo Giovanni, affidandolo alla sorellastra Irene, la quale non riuscirà a prendersene cura. Nel 1870, quattro anni dopo la morte del padre, Giovanni, infatti, viene arrestato a Milano per vagabondaggio e internato al riformatorio Marchiondi. In seguito a un tentativo di evasione, ne esce all’inizio del 1873 per interessamento del fratellastro Napoleone, che tenterà, poi, di avviarlo alla fotografia nella propria bottega in Trentino. Giovanni, però, preferisce tornare a Milano e iscriversi, nel 1875, all’Accademia di Belle Arti di Brera, frequentando i corsi serali (fino al 1879). In quegli anni, studiando con passione i pittori del naturalismo lombardo (soprattutto il “luminista” Tranquillo Cremona), diviene uno degli artisti più dotati della scuola milanese. L’incontro, nel 1880, con il pittore, critico e mercante Vittore Grubicy, che lo incita a seguire gli esempi del “pointillisme” francese, ancora poco noto in Italia, gli garantirà una maggiore sicurezza economica attraverso un contratto con cui, in cambio dell’esclusiva sulla sua produzione, questi gli avrebbe offerto uno stipendio settimanale. In quell’anno Segantini si trasferisce a Pusiano, in Brianza, dove vive con la compagna di tutta la vita, Bice Bugatti, in seguito madre dei suoi quattro figli. In Brianza, inoltre, Giovanni condivide il lavoro con il pittore Emilio Longoni (anche lui finanziato da Grubicy).Giovanni Segantini, le cattive madri
Nel 1885, in seguito all’esposizione di quattordici tele e cinque pastelli alla Società per le belle arti ed esposizione permanente di Milano, realizza a Caglio, ancora in Brianza, l’opera Alla stanga, apice della ricerca naturalista di quel periodo, che, nel 1886, vincerà una medaglia d’oro all’Esposizione Universale di Amsterdam. A partire da quell’anno, Segantini si stabilisce (fino al 1894), insieme alla sua famiglia, a Savognino, un villaggio delle Alpi grigionesi, divenendo così il “pittore della montagna” e dando inizio alla fase dell’adozione della tecnica divisionista, ufficialmente inaugurata con la seconda versione del dipinto Ave Maria a trasbordo (1886-1888). Dalla fine degli anni Ottanta, le sue opere raggiungono una discreta fama a livello internazionale, con la partecipazione alla Mostra italiana a Londra del 1888 e all’Esposizione Universale di Parigi del 1889. Ben presto, dunque, decide di ribellarsi alla tutela artistica di Vittore Grubicy, avvicinandosi, invece, al fratello Alberto Grubicy, che diverrà il suo nuovo mecenate. Risalgono a questo periodo i più grandi capolavori di Segantini, come Le due madri (1889), Il castigo delle lussuriose (1891), Le cattive madri (1894) e L’angelo della vita (1894), che porteranno il suo “divisionismo” tecnico in una dimensione simbolista, assimilabile ai modi del linguaggio figurativo mitteleuropeo e della Secessione viennese. Il sostanziale verismo delle sue opere conoscerà una vera e propria evoluzione graduale verso nuovi interessi allegorici e letterari, intessuti di uno spiritualismo di matrice decadentistica. In questa ricerca di spiritualità e di meditazione rientra il suo bisogno di immersione purificatrice nella natura incontaminata delle montagne svizzere, che lo porterà a Maloia, in Engandina, dove avrebbe vissuto con la famiglia, dapprima nello chalet Kuomi, in seguito (per mancato pagamento dell’affitto e delle tasse) nel castello Belvedere. Nel 1895, alla I Biennale di Venezia, gli viene conferita una medaglia per l’opera Il ritorno al paese natio, che sottolinea il livello europeo di Segantini, al quale, nello stesso anno, la rivista della Secessione di Berlino “Pan” dedica un intero numero. Per il padiglione svizzero dell’Esposizione Universale di Parigi del 1900 l’artista, già nel 1898, si accinge a elaborare un complesso progetto, il Trittico della natura, che rimarrà incompiuto a causa della sua improvvisa morte avvenuta ad alta quota, in una baita dello Schafberg, il 28 settembre del 1899 per un violento attacco di peritonite.