disegni di Vanni Cantà
Il gesto della poesia è, per Verona, come per chi sente di appartenere ad un mondo che finisce – che è finito -, un gesto di commiato, di nostalgia e rimpianto (come prova la sua personale rivisitazione dei miti). Ma come acqua che sgorga, come una “pianta che conosce dall’infanzia il bacio della luna”, è un gesto che apre (non chiude), si apre e fiorisce. Un gesto di amicizia, come quello da cui nascono le carte di Vanni, chiamato qui a una sorta di colloquio che continua, e invera, un lungo sodalizio umano. Entrambi attingono, come stranieri, alla parte più nascosta del Polesine, una terra dove la memoria del mondo torna ad essere oblio. (Marco Munaro)
COSA VOGLIONO LE ROSE
Ti sei chiesta cosa vogliono le rose
Abbandonate alla tristezza di novembre
Senza un cielo che le scaldi
Senza genio di una fioritura
Forse aspettano una mano che le colga
Un ricovero al riparo di un domestico tepore
Un miracolo di falsa primavera
La tardiva fioritura
***
IL NOME CHE NON SI PRONUNCIA
Prima ancora ch’io ti conoscessi
M’hai legato al giuramento
Non hai chiesto la mia vita
Per conoscere il tuo volto
La tua voce è la canzone
Di un dolore che non ha vergogna
Di un amore che nessuno vuole
Condannato
Incompiuto
Il tuo nome non è stato pronunciato
Il tuo canto è diventato il mio segreto
Tu conosci l’entità della sventura
Il tempo del giudizio
Il silenzio della terra
La promessa
Sei compagno che conforta
Un amico nella predestinazione
Prima ancora che tu mi scegliessi
So chi sei
Ti conosco
Lascia che si spenga il giorno
Allora
Lentamente
Con pazienza
Lasciami attardato alla finestra
Col pudore di chi spera
Trema
Di chi sogna un’ultima felicità che lo sorprenda
Prima che declini il sole
Prima che qualcuno invochi l’atto della fine
Sia gentile la carezza che mi chiude gli occhi
Sia leggera la tua mano
Profumato d’elicriso il gesto di commiato
***
Quindi il commiato ha il profumo d’elicrisio, umile fiore giallo che cresce sui dirupi, sulle scarpate marine. Quindi la vita ritorna, senza il gesto progettato della semina, ritorna per attitudine a rifiorire, selvaggia e senza scopo.
Non così le rose, “Abbandonate alla tristezza di novembre”, umane e domestiche come le cose che ci circondano, e per questo più fragili, più propense a scomparire per mancanza di cura, o attaccate dai parassiti, malgrado le spine.
Sono le rose bianche che vedo da qui, sdradicate più di una volta perchè ossessivamente fiduciose del calore della staccionata, ritornate, dopo il taglio, splendide e selvagge, e invasive. Ancora rispuntate, malgrado i rigori dell’inverno, come i gatti, come l’edera. Ripianterò questa rosa bianca, più in là, senza cura, ormai selvaggia, come l’elicriso.
Il commiato ha la forma di un fiore che ritorna. Malgrado noi, malgrado la vita stessa. Che avvenga prima, dice Giovanni Verona, ancora attardati per un istante alla finestra, a contemplare ciò che non accetta di svanire.
Sebastiano Aglieco