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Gioventù bruciata

Creato il 17 ottobre 2012 da Tabulerase

Gioventù bruciataL’occhio spento, la mente disabitata, completamente indifferenti al mondo e alle sue dinamiche. Per loro tutto è scontato, pensieri  pronti ed impacchettati che persone pigre ed annoiate possono consumare come nei migliori fast food. Si pongono poche domande, ciò che cercano spasmodicamente sono le risposte ma, come sempre accade, quesiti mal formulati conducono a conclusioni fuorvianti. Incarnano la mediocrità, ovunque si poggi il loro sguardo cade un velo di banalità e scontatezza. Sono abituati a surfare nel web come nella vita, navigando sempre in superficie senza mai immergersi  in profondità, senza cogliere il senso e le motivazioni recondite perché  i ritmi di riflessione devono essere velocissimi, i tempi di un videoclip, ci si accontenta di una demo: in fondo basta un campione, un sunto, una breve dimostrazione, spaziare è faticoso ed impegnativo.  E’ questo il profilo dei giovani delineato dal mondo adulto:  genitori scoraggiati, professori rassegnati, e la parola d’ordine diventa “AI MIEI TEMPI”.

E così non è difficile sentire genitori esclamare: “ Ma dove abbiamo sbagliato? Gli abbiamo dato tutto, offerto  le migliori opportunità. Il lunedì corso d’inglese e d’informatica, chitarra acustica e nuoto il mercoledì, canto corale e tennis il venerdì. Ha il computer, l’IPhone e l’IPad, facciamo due viaggi all’estero ogni anno … insomma, non gli mancano di certo le esperienze ! Il problema è il suo, non si entusiasma a nulla, è pigro, è geneticamente insoddisfatto. Il limite  di queste nuove generazioni è che hanno tutto e non sanno apprezzarlo.  AI MIEI TEMPI vivevamo nelle ristrettezze, noi sì che sapevamo cogliere ogni opportunità formativa, noi sì che sapevamo appassionarci alla vita, noi sì che avevamo dei valori e sapevamo batterci per degli ideali, noi sì che… noi sì che… “ E quando s’imbattono in un ragazzo volenteroso e profondo lo guardano come una cavia da laboratorio, quel ragazzo è geneticamente predisposto, capita ad uno su mille e la fortuna, naturalmente, sempre alle altre famiglie.

Chissà, forse questi giovani hanno tutto ma non hanno spazi e tempi per riflettere, oberati dalla chitarra acustica, il tennis e l’informatica. E tra una lezione di canto corale ed una d’inglese magari provano a comunicare  il loro malessere, la loro inquietudine alla generazione dei “Miei tempi”, a quei genitori troppo presi dai risultati per analizzare i processi, abbagliati da quell’ambizione per i figli che spesso va a colmare i fallimenti e gli insuccessi della loro vita, in un’insidiosa dinamica ben rappresentata da una celebre frase di Alessandro Baricco: “Dev’essere così questa cosa dei figli: nascono con dentro quello che nei padri la vita ha lasciato a metà”. Probabilmente questi giovani avrebbero bisogno soprattutto di essere ascoltati, amati in modo sano e presi per mano da adulti responsabili, da un padre e una madre che smettano di fare gli amici a tutti i costi e si ricordino di avere una funzione che è innanzitutto quella genitoriale, perché questi giovani hanno bisogno di esempi, di una guida, di regole che permettano loro di orientarsi nella giungla sociale e professionale.

E poi ci sono loro, i docenti, quel coro di voci unanime che si leva tra un corridoio e l’altro, tra una campanella e l’altra ed il messaggio è sempre lo stesso: questi ragazzi non leggono, non studiano abbastanza. Sembra di sentirli: “ E’ una quotidiana lotta per strapparli all’apatia, combattiamo il mostro della noia e dell’ignoranza, gli studenti non hanno motivazione né entusiasmo. Manzoni è troppo antico, Leopardi è uno sfigato pessimista, Kant ed Hegel  consumavano di certo stupefacenti per essere così contorti!  L’unica opera che apprezzano è l’Inferno di Dante ma – si sa – questi giovani hanno il gusto del macabro e  magari non stupisce se si prefigurano Dante e Beatrice in versione Emo. Sono incapaci di cogliere il bello in una poesia, in un’opera d’arte, in un testo filosofico. Se non comprendono qualcosa sorvolano, non fanno domande, non vogliono spiegazioni, rifiutano l’aiuto, contestano solo per spirito polemico.”  Ed ecco pronunciare la fatidica frase: “AI MIEI TEMPI eravamo accesi dal fuoco della conoscenza, avevamo passione, interesse, entusiasmo, studiare era un diritto di pochi e noi sapevamo apprezzarlo”.

Eppure capita sempre più frequentemente di osservare un corpo insegnanti che nelle aule ha ormai solo il corpo, l’anima è altrove, spesso alienata, frustrata, poco stimolata e stimolante. Insegnanti ormai arresi, sfiduciati, incapaci di comprendere che al bello si può educare, alla sensibilità artistica e poetica si può educare, all’amore per la conoscenza si può educare e che non è troppo tardi per farlo. E forse piuttosto che considerare questi ragazzi dei contenitori da riempire in una folle corsa per ultimare il programma, prim’ancora di proporre Kant, Hegel o Leopardi, sarebbe necessario ascoltarli, entrare in empatia con loro, capire che è una generazione spaventata a cui stanno progressivamente portando via tutti i sogni, comprendere che se non riescono a cogliere il bello spesso è perché sono ossessionati dalla richiesta della società di dover “essere qualcuno” a tutti i costi, perché vivono in un contesto che premia il prodotto con il minimo sforzo e in tempi ridottissimi, e se essi surfano nella vita è perché la società impone loro  i ritmi del galleggiamento in superficie e non quelli dell’immersione in profondità e quella stessa società che richiede loro la prestazione li ripaga con la precarietà. Crescono in un mondo fatto così ed è difficilissimo portarli fuori soprattutto quando ogni generazione demonizza  la successiva, in parte per un gap naturale e fisiologico, in parte per  una buona dose di diffidenza verso il cambiamento. Forse per salvarli basterebbe solo insegnare loro a vedere altro, o a vedere le stesse cose da un’altra prospettiva, non lasciarli soli e far capire loro che la generazione dei “Miei tempi” può diventare quella dei “Nostri tempi”.


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