Non importa che il paesino in cui sono cresciuta abbia dato i natali al vermouth più glamour del pianeta, o che il nome della frazione in cui scorrazzavo in bicicletta sia facilmente storpiabile in un inglese very cool.
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Se passi i primi vent’anni in campagna, porterai sempre con te alcuni segnali che riveleranno le tue origini.
Anche se passerai i successivi dieci anni nella prima Capitale d’Italia, anche se ti trasferirai in una Capitale di Stato estera, prima o poi il tuo retaggio campagnolo tornerà a farsi vivo.
E se va bene, lo farà solo nottetempo (ho mai raccontato di come tutti i miei incubi godano di una bucolica ambientazione contadina?).
Ecco, una roba cosi. (Fonte)
Se va male, ti accorgerai di camminare come se dovessi affrontare gli impervi sentieri che attraversano i campi anche quando indossi i tacchi.
O di aver sviluppato un’insana passione per i trattori, così mastodontici e lenti, e di desiderare ardentemente di poterne guidare uno anche solo per pochi minuti.
Per non parlare dell’attrazione fatale per quelli che definirei gli stivalacci, ossia calzature molto spartane e resistentissime, alte fino al ginocchio per proteggere le gambe da eventuali schizzi di fango. E fin qui tutto bene, se qualcosa dentro di te non ti dicesse che tali raffinatissimi stivali sono perfetti in qualsiasi stagione, per ogni occasione e con la più vasta gamma di capi di abbigliamento.
Perché con un’infanzia campagnola, comodità è la parola d’ordine. Sempre.
Anche quando al lavoro si attende un’ospite importante: in tale occasione, ti sembrerà perfettamente adeguato abbinare gli stivalacci ad una camicia di jeans (anch’essa residuo contadino), salvo poi ingentilire in tutto con dei leggings di finta pelle e un maglioncino verde bosco. La raffinatezza fatta persona, chiedete ai miei colleghi. O a Instagram.
Infanzia campagnola significa anche vescica debole, perché nel paesino c’è sempre un prato, una radura o un cespuglio disponibile, e quindi indovinate un po’ chi era alla toilette quando l’Ospite Importante si è palesata in ufficio?
Vogliamo poi parlare del cibo, dell’attrazione fatale per le castagne e del profondo disprezzo per la vita cittadina che non contempla alcuna castagnata autunnale?
O delle guance rotonde e rosse Heidi-style, evidentemente derivate dall’aver bevuto troppo spesso del latte appena munto, panna inclusa?
Ho sempre creduto che prima o poi sarei tornata a vivere nel mio ridente paesino. Più poi che prima, che certe dinamiche è meglio affrontarle in età avanzata, quando l’eventuale gossip riguarda le generazioni più giovani. Al momento non credo che questo si verificherà, ma porto con me il retaggio campagnolo e continuo a comprare, ogni qualvolta mi capiti di trovarne una bottiglia, il Martini Montelera.
Altrimenti, da brava campagnola, invece di spendere soldi lo fotografo e mando l’immagine a tutti i miei ex compaesani.