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#GiroTeam | Androni Sidermec | Week 1

Creato il 18 maggio 2015 da Emialzosuipedali @MiriamTerruzzi

Attaccare.
E’ un verbo immediato. Eppure nel ciclismo un attacco può durare chilometri e chilometri. Accumulare secondi, sopportando i cambi. Sei giorni su sette in fuga. Ecco la settimana dei ragazzi Androni Sidermec in una frase. Per il resto, c’è molto altro. C’è sempre. Son cose nascoste negli anfratti delle quotidianità del Giro, nelle mezze parole, nelle mezze tensioni quando non sono intere.
Certo è che queste fughe giornaliere, queste tattiche, hanno un po’ a che vedere con il fatto di andare a cercar fortuna. Una spedizione continua per trovare l’occasione giusta. Che sia quella per la quale si è fatta così tanta fatica fino a qui.
Il gruppo va, va, va” dice Frappo. “E noi per ora la corsa la subiamo.
Questo è il Giro, non è mai facile. Ha un carattere incostante e il tracciato di quest’anno non lascia tregua nemmeno per un po’: è una volata in sali e scendi fino al giorno di riposo.
Giorni di fughe, tutti quanti. Oggi tocca a me, domani a te. Questo è lo spirito, questa è l’anima. Ognuno ha la sua.

Il lunedì di solito è giorno di riposo. Ma non questa volta. Questo è il primo lunedì del Giro e a colazione, come sempre, c’è il leggendario Pastone del Gigio (il massaggiatore), un impasto di cereali che lui stesso prepara la sera prima della tappa e lascia riposare tutta la notte. Oscar dice che è buonissimo, anche se le prime volte era un po’ diffidente perché la faccia non è delle migliori.

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Il sapore. Finchè non assaggi qualcosa non saprai mai com’è. Sembra una delle banalità che dicevano le nonne per farti mangiare qualche loro intruglio. Eppure non vale solo per il Pastone del Gigio. Forse il novanta per cento del ciclismo segue questa regola non scritta. Devi masticare la fatica, il sacrificio per capire che ha lo stesso sapore delle vittorie, quello che ritrovi dopo la linea bianca. Sono due cose che vanno di pari passo.

Da Rapallo a Sestri Levante, nel cuore delle Cinque Terre. Il mare blu, le spiagge grigie della Liguria appena appena bianche di schiuma. Zilio parte in fuga, da subito, al chilometro cinque. La tattica è la solita: attaccare. Per Pelli non è giornata, arrivano i crampi. Dieci minuti secchi, è fuori dalla generale ed è solo il terzo giorno.

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Su una distanza di tre settimane bisogna anche essere capaci di cambiare le carte in tavola, reinventarsi il ruolo pur rimanendo lo stesso corridore e forse persino con qualche debolezza in più. Il giorno dopo il Capitano è ancora all’attacco. Adesso bisogna pensare solo a prendersi una vittoria di tappa. Insieme a lui c’è Simone. Dall’ammiraglia gli hanno già passato la sua banana quotidiana: una delle tante abitudini. “Se Stortoni non la mangia in corsa, è triste” scherza Giovanni Ellena.
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Niente scherzi, invece, quando ai meno trenta tornano i crampi. Pelli non crede alla sfortuna che gli ricapita. L’ammiraglia si avvicina e lui pedala piano. La classica pedalata di quando devi andare avanti cercando di sciogliere i muscoli, di non pensare al male. Di nuovo la fuga persa, di nuovo il gruppo che lo inghiotte. Anche oggi è andata così. Domani si riprova. Colazione, Pastone del Gigio, banana dall’ammiraglia. Quello che cambia è questo primo vero arrivo in salita. Abetone. Le conifere lassù hanno visto Fausto Coppi conquistare la vetta e oramai sono abituate ad ascoltare il ciclismo dal lontano millenovecentoventi. In fuga per la squadra oggi c’è Serghei. Lui queste corse le ha sognate al di là dell’Oceano, mentre le guardava in tv. The first time. Questo è l’anno delle prime volte. Gare italiane ed europee tutte insieme, tutti i sogni che erano ammassati in un cassetto sono usciti d’improvviso. Emozione e tensione, forse è anche questo strano miscuglio che in discesa gli fa prendere per sbaglio un viottolo nei boschi. E’ un attimo, recupera subito anche se lo scarpino ha qualcosa che non va. Si avvicina all’ammiraglia e il meccanico cerca freneticamente la borsa del freddo: sicuramente sarà incastrata sotto il frigorifero che, all’inizio di una tappa calda come questa, è stato valutato come priorità sul resto. Niente cambio dello scarpino ma un bel giro di scotch perché la corsa è anche sopravvivenza. Forse è soprattutto sopravvivenza.
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Serghei si stacca dal gruppetto all’inizio dell’ultima salita e Flag, a fine tappa, è contento perché grazie alla scenetta dello scarpino, la telecamera ha inquadrato per un po’ le sue calze, quelle che produce lui stesso e promuove con tanto impegno. Praticamente tutti gli Androni indossano le MB wear con la striscia rosa in tema Giro, più metà gruppo: corridori e amici qua e là. Persino la maglia rosa Matthews.

Flag l’imprenditore. Flag il ragazzo delle fughe. Dicono che l’anno scorso, al Giro, sia stato più chilometri all’attacco che nella pancia del gruppo. Montecatini – Castiglione della Pescaia e poi Grosseto-Fiuggi. Due giorni consecutivi al vento e un pensiero commovente per il suo papà che srotola dalla tasca dove era appallottolato in una slow che la tv ha portato dovunque: “Auguri papà. Rimettiti presto. Ti voglio bene. Un abbraccio. Marco
Un bigliettino che poi torna nel taschino da dove era uscito e la fuga prosegue. Forse con un altro senso perché nel ciclismo i gesti sono così: piccoli e brevi eppure intensi come un’azione che dura chilometri.
Bilancio della giornata è la fuga riassorbita e Appo undicesimo, appena subito fuori dalla top ten. Oscar non si è giocato la volata perché il giorno dopo una caduta è sempre critico. Come gli istanti immediatamente successivi.
Già, è sempre complicato da capire cosa i media fanno uscire dal Giro e cosa no. Le cose che accadono in silenzio non sono mai state amiche delle voci di piazza. Oscar è caduto a sessanta chilometri all’ora nella mischia improvvisa a trecento metri dalla linea bianca. Una strisciata sull’asfalto e un corridore di un’altra squadra che gli cade addosso. Quando si rialza, sulla gamba e sul braccio c’è lo strato di sangue lucido della carne viva.
Oscar” gli dice Giovanni in hotel. “Vai di là, urla quanto vuoi, noi non ti ascoltiamo ma devi grattare via tutto e poi lavarti.
E’ l’unico modo per ripartire il giorno dopo. Una grattata sull’asfalto e poi con l’asciugamano sulle ferite aperte. E l’acqua. Lavarsi dopo una caduta così è più difficile di tutto.
Eppure il Giro è fatto di giorni che non si possono saltare: sono in fila uno dopo l’altro e quello che puoi fare dopo sei ore in sella è pensare se tutto sia a posto per il giorno dopo. Te stesso, in cima alla lista.

Si può sempre andare oltre” diceva Jack Kerouac. Anche in quella strana soglia del dolore. Cadere fa male, rialzarsi subito ancora di più. Mettersi sotto la doccia con le ferite ancora aperte e sporche d’asfalto è la soglia. Oltre quella soglia c’è la partenza tranquilla del giorno dopo, le bende per metà nascoste sotto la divisa. I ciclisti sono strani eroi senza nessun superpotere se non quello di non mollare mai il manubrio che alla fine è il loro sogno perenne. Non c’è niente di romantico in questo ma solo la profonda verità della vita che hanno scelto.
Le prime montagne cattive del Giro portano il silenzio. Attaccare qui sarebbe troppo. Ci sono ancora due settimane che aspettano.
Durante il lungo trasferimento il pullman Androni si ferma in un piccolo ristorante abruzzese. Giovanni ha preparato una sorpresa per i ragazzi: il proprietario è un suo amico e, per una volta, prima del giorno di riposo, si può uscire dagli schemi e mangiarsi una pizza tutti insieme. Serve per rilassare corpo e mente. E anche per dare morale.

finale

La sera scende sulla prima settimana e l’aria porta il profumo del mare che è di quel blu intenso prima della notte, quando il cielo è ancora chiaro. Sospesi sui loro sottili e incredibili pali di legno, i trabocchi sulla costa si illuminano come piccoli regni incantati. Nessuno giurerebbe che quei ragazzi seduti al tavolo che addentano le fette di pizza come se non l’avessero mai assaggiata, hanno fatto sette giorni in bicicletta per sei ore consecutive e anche di più.

Da domani dieta ferrea. Ma stasera è un po’ come il venerdì dopo il lavoro. Anche se questo non sarà mai un lavoro come un altro. E non chiedete perché. A volte per capirlo bisogna solo stare in silenzio e ascoltare. Anche una sera come questa ha qualcosa da dire, tra i trabocchi sospesi e i chilometri percorsi. Tra le risate e una pizza come premio per i sacrifici passati e che ancora verranno.



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