Ecologia imperialista
Periodicamente ritorna l’adagio circa una confusa proposta di “internazionalizzazione” della foresta Amazzonica. Il pretesto per sottrarre questo grandioso monumento naturale alla legittima sovranità del Brasile è il ruolo ecologicamente fondamentale che riveste per tutto il mondo. L’Amazzonia costituisce un polmone per la Terra e se la sua capacità di ossigenare l’atmosfera venisse a mancare o fosse gravemente compromessa, le conseguenze per l’inquinamento e la temperatura sarebbero dannosissime.
Ma come sempre dietro i fini apparentemente nobili coi quali l’Occidente autocertifica le proprie azioni vi è una totale mancanza di logica, di razionalità e di etica. E giustamente i brasiliani non solo rispediscono al mittente la proposta ma si preparano a difendere l’integrità nazionale, come vedremo in seguito.
Alla pretesa occidentale di rendere internazionale l’Amazzonia possiamo opporre tre argomenti.
In primo luogo, l’ipocrita filantropia degli europei e degli americani rivela ancora una volta l’errore -in cui perseverano imperterriti- di attribuire agli altri colpe e difetti che sono invece loro propri e in proporzioni ben peggiori. Tanto l’Europa quanto gli Stati Uniti hanno infatti ricevuto in dono la gioia di vedere le proprie terre percorse da centinaia di migliaia di chilometri quadrati di boschi e foreste. Ma allo scopo di massimizzare lo sviluppo economico, l’europeo e l’americano hanno dilapidato questo dono, radendolo letteralmente al suolo e compromettendo così la qualità dell’ambiente e la propria salute. Ora che il problema si è fatto globale proprio per colpa in larga parte degli occidentali, ecco che si vorrebbe negare obtorto collo al Brasile il diritto a gestire al meglio il proprio patrimonio naturale. Senza contare peraltro che ad oggi quel paese, pur non avendo fatto molto per proteggere l’Amazzonia, non l’ha nemmeno sommariamente giustiziata come avvenuto con le foreste europee e nordamericane. Il succo del discorso è: “cari brasiliani, poiché noi abbiamo abbattuto i nostri alberi per accrescere il nostro progresso, voi dovete restare in miseria per salvare l’Amazzonia a nostro beneficio”.
In secondo luogo, nulla lascia supporre che un consorzio internazionale saprebbe tutelare l’Amazzonia meglio di quanto abbiano finora fatto i governi di Brasilia. Come anticipato al punto precedente, abbiamo già avuto modo di sperimentare la sensibilità ecologica e olistica dei francesi, dei tedeschi, degli italiani, dei britannici, degli statunitensi e mettiamoci pure i russi e i cinesi. Perché mai queste persone che già hanno massacrato l’ambiente nelle proprie patrie, che non sanno tutelare quanto di natura è rimasto nei loro confini, che ancor meno sanno promuovere poltiche di equilibrata riforestazione e blocco della cementificazione, dovrebbero essere in grado di gestire in modo illuminato la grande Amazzonia? Non è forse lecito pensare, visti i precedenti e la consuetudine occidentale, che un consorzio internazionale farebbe solo ed esclusivamente il gioco di potentati petroliferi e minerari, continuando a deforestare e coprendo tutto allo stesso tempo con rumorose campagne mediatiche di tutela, mostrando l’impegno a riforestare un chilometro quadrato, dopo averne spianati dieci? E magari ostentando l’alta tecnologica eco-compatibile di una nuova città mineraria, quando non vi sarebbe alcun bisogno di tecnologia eco-compatibile nel momento cui nemmeno vi fosse una città mineraria?
Terzo luogo, se dobbiamo imporre il principio secondo cui un territorio globalmente rilevante deve essere messo sotto amministrazione internazionale, allora detto principio deve valere per tutti i luoghi con questa caratteristica. E quindi vengano internazionalizzati i deserti del medio oriente e della penisola arabica, poiché la ricchezza rappresentata dal petrolio e l’impatto ambientale dell’estrazione hanno rilevanza globale. Vengano internazionalizzate le pianure nordamericane della corn belt, perché se ben impiegate possono costituire un granaio per il mondo. Vengano internazionalizzati il Nilo, il Danubio, il Volga, il Mississipi e tutti i fiumi maggiori del mondo perché la loro acqua e il loro potenziale idroelettrico vada a beneficio di tutta l’umanità.
Ma naturalmente il Brasile non resta a guardare e non solo rivendica la propria esclusiva sovranità sul suo territorio ma si prepara a difenderla, rispondendo così anche all’ignobile campagna americana che permette la pubblicazione di testi geografici in cui l’Amazzonia è già rappresentata come zona internazionale, e mostra i propri super eroi dei fumetti a fianco dei nativi della foresta nel difenderla dalla speculazione dei petrolieri brasiliani (per contro si sa che negli USA, così come in Europa, in Russia e Cina, non vi sono aziende petrolifere…).
Le forze armate brasiliane sono le migliori dell’America Indiolatina e tra le prime dieci al mondo, e nonostante questo difficilmente potrebbero resistere a un’invasione delle forze NATO. E’ per questo che i vertici militari di Brasilia stanno studiando come opporsi al nemico in uno scenario di “guerriglia silvana” nel cuore della grande Amazzonia, limitando lo scontro frontale con le forze convenzionali e attirando piuttosto il nemico su un terreno ostile per logorarlo in perfetto stile Vietnam… o stile Iraq, stile Afghanistan…
Simone Boscali