Suona strano, dopo aver finito con soddisfazione un libro del 1939, tradotto in italiano nel 1957, essere già stanca di un romanzone del 1934.
Sto leggendo “Peregrino del ciel” di Liala, al secolo Amalia Cambiasi Negretti e qualche altro cognome che ora non ricordo. Ricordo invece che lo pseudonimo da scrittrice le venne donato da D’Annunzio e diventò il nome con cui è oggi riconosciuta.
Il libro mi è arrivato grazie alla impareggiabile Libraia Felice (di cui ho parlato qui) e mi ci sono ri-tuffata, cercando le aure di un tempo, tanto tempo fa, in cui Liala non era certo una delle mie letture preferite, ma alla quale ogni tanto ricorrevo per piacevole evasione.
Oggi, invece.
Be’, oggi mi sta un po’ stancando, dopo un centinaio di pagine ricche di giovanotti bellissimi ma superficiali e scapestrati, bellissimi e onesti, poderosi, atletici, eleganti e signorili, un po’ ubriaconi talvolta (ma soltanto se sono anche piccoli e brutti), che si accompagnano lungo il cammino della vita con onestissime, biondissime, fragilissime fanciulle, piene di amore, altruismo, bontà e soldi, tanti soldi.
Va da sé che chi è buono e onesto, e ricco, cerca di rimettere sulla retta via chi è bello, scavezzacollo e mani-bucate; chi è signorile e poderoso si innamora della fragile ereditiera; e che, su tutto, aleggia (ma chi sa mai se sarà così) l’alito della tragedia: questi son tutti piloti, vuoi che non capiterà qualche incidente? In realtà sono supposizioni davvero peregrine, visto che non ricordo niente di questo libro e visto anche che, con ogni probabilità, continuerò la lettura, almeno per sapere come andranno a finire le diverse storie che l’autrice mi ha sciorinato davanti con abilità.
Sì, perché, al di là della mia insofferenza verso i giovani muscolosi pieni di perfezione, la scrittura di Liala, al netto di certe espressioni superate e desuete, è ricercata sia nel lessico che nelle configurazioni della sintassi, senza quel languore dei futuri romanzi tutti rosa, ripuliti dal mondo e dai tecnicismi delle divise aeronautiche che qui la fanno da padrone. È una scrittura agile, leggibile, che si fa perdonare anche il lessico sostenuto, un po’ da tema scolastico, l’aggettivazione ripetuta e retorica (sono alla prima rilettura, perciò per ora non disturba così tanto) che probabilmente all’ennesimo romanzo suonava molto rassicurante e poco faticosa.
Insomma, dai, sono all’inizio, ho detto che mi sto un po’ stufando, ma in fondo il giudizio finale non è così negativo come pareva quando ho cominciato a lamentarmi di questa lettura.