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“Giulia 1300 e altri miracoli” di Fabio Bartolomei

Creato il 14 aprile 2011 da Sulromanzo

“Giulia 1300 e altri miracoli” di Fabio BartolomeiHo chiuso il primo romanzo del pubblicitario romano Fabio Bartolomei e mi sono sentita liberata da quel torpore esistenziale che tiene in ostaggio tutti noi per tempi lunghi o brevi (se non per la vita intera). Mi riferisco a quella passività che condisce il quotidiano addormentarsi in alcune modalità precostituite di stare al mondo. Ha ragione Bartolomei, mi sono detta: non dobbiamo mai dimenticare il nostro essere soggetti potenzialmente attivi.

Insospettabile, celato da una trama comica e apparentemente “innocua”, Giulia 1300 e altri miracoli(Edizioni e/o) punta il dito contro il grande orchestratore, il burattinaio supremo che tutto dirige. Il matrix di Bartolomei si serve della televisione, con le percezioni alterate dei reality, gli rvm strappalacrime alla De Filippi, i TG strazianti che inoculano sospetto, ansia sociale e paura della propria ombra. Ma anche le lotterie, i gratta e vinci e tutto ciò che è utile a dosare e guidare le speranze, narcotizzando la coscienza collettiva in un sonno controllato. Un sistema di cui la pubblicità propagandista, lo saprà bene l’autore, è il braccio armato.

Ai protagonisti principali Claudio, Fausto e Diego si aggiungono il nostalgico compagno militante Sergio, l'intraprendente soffio femminile di Elisa e un gruppo di uomini del Ghana che raccolgono pomodori nei campi antistanti il Casal de' Pazzi. É così che i tre hanno chiamato il loro agriturismo aperto per caso, unendo lo stallo e i fallimenti di ognuno nel topico momento in cui “non si ha nulla da perdere”.  L'improbabile trio si conosce rispondendo a un annuncio di vendita di un casale dove finisce il Lazio e comincia la Campania. Claudio è fobico, divorato da una generale ansia da prestazione che ha mandato a rotoli azienda di famiglia e matrimonio. Fausto è un uomo di immagine, ignorante e razzista in egual misura; è falso come gli orologi che vende in televendite notturne su Tv locali. Il narratore è Diego, apatico seguace del “vivi e lascia vivere”, uno che non si lascia coinvolgere e vota Verdi “perché nessuno sa di cosa discutere con un verde”. Il fobico, l'ignorante e l'apatico: tre profili standard partoriti dal sistema Stato che si troveranno ad aprire l’agriturismo in società e a giocare titolari in una partita contro un altro Stato (o meglio anti-Stato), la camorra.

Non immaginatevi i drammi delle fiction sulla criminalità organizzata, qui non si perde quasi mai il sorriso. A cominciare dal climax di pagina 85, il momento in cui si esplicita il titolo del romanzo, quando da una vecchia Giulia 1300 verde scuro comparsa sul viottolo del casale scende Vito, un vecchio “un po’ Merola un po’ Manero” venuto a offrire agli imprenditori alle prime armi “la protezione delle famiglie”. A quel primo impavido e impulsivo rifiuto di pagare il pizzo ne seguiranno altri e, mentre la Giulia va sottoterra per nascondere le prove del sequestro, i camorristi scendono le scale della taverna del casale, in una detenzionesui generis e dai risvolti inaspettatamente terapeutici. 

Come Montale (citato dall'autore) scendeva milioni di scale dando il braccio a sua moglie ipovedente, anche il lettore scende nella complessità del sistema camorra, dando il braccio a Bartolomei. E nel “vuoto ad ogni gradino” si dipana la struttura piramidale dell'organizzazione criminale in cui gli scagnozzi mandati a chiedere il pizzo sono vecchi appassionati di musica classica o giovani che vivono di droga e scooter, risucchiati per mancanza di alternative e indottrinati da una gerarchia che, come un matrix dentro il matrix, riproduce false speranze di riscatto dalla miseria. Sepolta sotto metri di terra l’autoradio difettosa della Giulia darà vita a un miracoloso prato musicale, una chicca che sancirà la popolarità e il successo dell'agriturismo. In quell'oasi “anarchica, multirazziale e partigiana” avverrà anche un altro dei miracoli a cui si riferisce il titolo: il risveglio delle coscienze e dell'urgenza di cittadinanza attiva che porterà i protagonisti in prima linea, senza più paura, ignoranza o apatia. Una presa di coscienza che Bartolomei ha reso credibile proprio perché graduale, seppur palesata con forza nella precipitazione finale degli eventi. L'immagine della Giulia che dà linfa a un meraviglioso prato, il marcio in taverna che porta al germogliare di una consapevolezza civile mi hanno fatto pensare alla grande verità di De André: “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”.


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