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Giuliano: assalto al treno

Creato il 28 aprile 2010 da Casarrubea

 

Giuliano: assalto al treno

scena dal film di Rosi

Tirava un vento gelido e la stazione ferroviaria era piena di gente. Erano saliti tutti nelle poche carrozze sgangherate e risistemate e si erano accomodati nei loro scompartimenti riponendo i bagagli sopra le teste dei loro dirimpettai, quasi a meglio tenerli sott’occhio durante il viaggio.

Quando il treno a carbone, lanciando un grosso pennacchio di fumo nero nell’aria nebbiosa, si fu messo in moto, nessuno avrebbe immaginato che proprio in quel giorno, per tutti gli ospiti di quel convoglio, sarebbe successo il prevedibile. Non che non fosse nel conto, ma perchè nell’animo umano si conserva sempre la recondita speranza che quello che deve succedere di tragico, capiti sempre agli altri. O comunque capiti un’altra volta.

 

Nei film western assistiamo alle scene dei banditi a cavallo che, armati di fucili, prendono d’assalto treni e diligenze. Ma si tratta di film e non ci facciamo caso. Uscendo dalla sala cinematografica abbiamo passato poco più di un’ora di svago e poi ce ne torniamo tranquilli a casa, se non andiamo altrove.

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Giuliano: assalto al treno

Giuliano, 9 agosto 1947 (Archivio Casarrubea)

Ma le cose non andarono così a quei poveri sventurati che, infilatisi speranzosi nelle carrozze, furono poco dopo la partenza testimoni di una brutta avventura. Dato l’anno in cui il fatto accadde c’era da aspettarselo. Allora i banditi non si vedevano solo nei film, ma c’erano davvero e scorazzavano indisturbati per le nostre campagne.

 

Giuliano: assalto al treno

Partinico: assalto al treno 1

Furono proprio i banditi di Turiddu Giuliano a essere primi attori della scena. Avevano avuto licenza di uccidere e di rubare per certi nobili fini che solo loro sapevano e che sfuggivano alla gente comune. Anzi, questa si era fatta l’opinione che se furto avveniva era a fin di bene perchè, stando alla vulgata, Giuliano toglieva ai ricchi per dare ai poveri. E se un derubato era un povero aveva l’obbligo morale di pensare che quel grande benefattore stava rubando a un povero per dare un refrigerio a qualcuno che era ancora più povero. Convinzione ampiamente duffusa dai giornali.  E, si sa, se i giornali dicevano questo, era certo la verità.

 

L’ennesima opera di bene accadde nei pressi della ferrovia che da Trapani conduce a Palermo, nelle vicinanze della galleria di Partinico. Un gruppo di banditi armati prese d’assalto il treno che il 23 gennaio 1946, partito da Trapani si era diretto alla volta di Palermo. Verso 16 i passeggeri udirono due forti esplosioni, il treno si fermò all’istante, il macchinista ebbe un mezzo svenimento e i passeggeri, affacciatisi ai finestrini per un atto istintivo, si misero per un secondo a curiosare e poi, spinti dall’autoconservazione che da secoli li aveva allenati a salvare la pelle, si buttarono a terra lungo i corridoi delle carrozze. Qualcuno si chinò sui sedili dandosi per morto. Ma, dovunque si trovassero, all’inferno dantesco a sentire “gli infiniti lamenti” del quarto Canto, o nell’oltretomba di questo mondo contemporaneo, furono tutti chiamati ad alzarsi e a scendere a terra in fila indiana. I passeggeri maschi furono immediatamente perquisiti e derubati dei loro oggetti personali, valige comprese, le donne, non pare siano state toccate. E la ragione si spiega perchè nel mondo cavalleresco al quale i banditi pensavano di appartenere, il gentil sesso non si tocca. Se non altro perchè a qualche marito o padre di famiglia al quale non va giù una “toccata” più o meno interessata, sarebbe potuto andare il sangue in testa, e Dio solo sa cosa sarebbe potuto succedere.

 

Giuliano: assalto al treno

Partinico: assalto al treno 2

Assistette all’insolito spettacolo un tenente della Raf (Royal Air Force) di stanza a Catania, che aveva appena visitato Erice e stava tornando all’Hotel delle Palme di Palermo, dove alloggiava. L’ufficiale si chiamava R. Gillingham. Il quale con la sua calma inglese, dopo essersi messo in coda ed essere sceso a terra, si presentò al capobanda e gli spiegò che era un ufficiale inglese e viaggiava con il suo seguito. Che funzione avesse questo ufficiale in quel treno e chi fossero i membri del suo seguito non è dato sapere. Certo è, però, che i banditi gli restituirono il bagaglio e  che l’ufficiale, arrivato a destinazione, fu sottoposto a colloquio da parte di un altro graduato, questa volta dei servizi segreti navali americani. Alla fine tutti rimasero, in quell’hotel di mafia e militari, sollevati e contenti. Gillingham non aveva capito nulla di quello che era successo: i banditi lo hanno trattato con cortesia, sopratutto dopo avere visto che si trattava di un ufficiale in divisa inglese.

Ma gli americani la sapevano più lunga perchè avevano saputo dal controspionaggio italiano dei fatti che interessano gli Usa che sarebbe stato bene che gli inglesi non conoscessero, visto che erano contrari alla creazione dello Stato di Israele:

“La battaglia con i separatisti dell’Evis a Montelepre, che era iniziata tra il 9 e il 10 gennaio [1946], si è conclusa il 16 gennaio. Il bilancio definitivo è di 9 morti tra i CC. RR. e i soldati dell’esercito. I feriti sono 35. […] Al momento, la guarnigione di Montelepre consta di quattro compagnie del 139° Reggimento di Fanteria. Si conferma che elementi ebraici hanno preso parte alle azioni. Alcuni ebrei sono stati catturati: stiamo cercando di identificare i prigionieri. Segue rapporto definitivo. […] In seguito alla suddetta battaglia, un autoveicolo (probabilmente un’autoambulanza) è stato attaccato dall’Evis sulla strada litoranea nei pressi di San Cataldo (a nord di Partinico, in provincia di Palermo), 10 chilometri a ovest di Montelepre. I militi deceduti sono 3. Si riscontrano numerosi feriti”.

Insomma gli Alleati erano stati alleati durante la guerra contro i nazifascisti, ma ora ciascuno faceva i suoi giochi all’insaputa dell’altro. E Giuliano faceva alla bisogna anche per finanziare, con rapine e attentati, le attività che si nascondevano sotto il paravento del cosiddetto Esercito per l’indipendenza della Sicilia.

(Giuseppe Casarrubea)


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