Calvino, Céline, Franzen, Ginzburg, Haigh, Kafka, McCarthy, McEwan, Murakami, Pavese, Roth, Sartre. Cosa hanno in comune questi scrittori? Hanno lavorato in periodi diversi, con stili diversi, idee diverse e obiettivi diversi. Eppure in Italia sono stati tutti accompagnati da un antico motto: “Spiritus durissima coquit”. Creato nel Cinquecento da Paolo Giovio (intellettuale e religioso di alto lignaggio) per un signore che, in attesa di avere la possibilità di vendicare il fratello, voleva che le sue capacità di memoria e resistenza fossero enfatizzate, questa motto è diventato per milioni di italiani il simbolo, insieme allo struzzo in bianco e nero che avvolgeva, la garanzia di una linea editoriale che non lasciava spazio alla mediocrità. Parliamo ovviamente di Einaudi.
In questo mese si celebrano i cento anni dalla nascita di Giulio Einaudi (2 gennaio 1912) e della sua inarrestabile ricerca del talento e della diversità. Fra le tante uscite dei giornali e pubblicazioni a lui dedicate, vorrei ricordare il piccolo (solo per numero di pagine) mémoire narrativo di Walter Barberis (http://www.einaudi.it/speciali/Giulio-Einaudi-Un-ritratto), che in meno di trenta pagine riesce a far percepire al lettore la passione vorace per il mondo dell’editoria che Giulio Einaudi ha nutrito, caparbiamente, per oltre 70 anni. Fin dalla sua giovinezza, trascorsa fra i banchi del liceo D’Azeglio di Torino, figlio del futuro presidente della Repubblica Luigi Einaudi, già commentatore de Il Corriere della Sera, ricco proprietario terriero e senatore del Regno, Giulio Einaudi si avvicina al mondo dell’editoria occupandosi della promozione, porta a porta, anzi libreria a libreria, della rivista Riforma Sociale diretta da suo padre, assicurandosi che avesse la giusta visibilità e che arrivasse agli abbonati. Da quel momento inizia per lui un instancabile viaggio che lo avrebbe portato, qualche decennio più tardi, a passeggiare per la fiera internazionale di Francoforte, ricercato e temuto, per godersi lo spettacolo di uno stand completamente bianco, con un lungo divano di pelle nera che ne seguiva interamente la superficie e i suoi libri (pochi ma buoni), che spuntavano sicuri del loro valore, pronti per essere apprezzati e tradotti in decine di lingue.
Di Giulio Einaudi si è detto tutto e il suo contrario, ma di certo non passò inosservato il suo amore per l’oggetto libro, a partire dalla sua materia prima (carta, colla, rilegatura, inchiostro, parole) da cui sprigionava l’idea, anzi la "contro-idea" che avrebbe scatenato il dibattito e le critiche. Differenziarsi, stupire, diversificare, non con scopi puramente enfatici, bensì puntando alla sostanza, con autori che venivano formati (e a volte sformati) dalla potente ed invasiva macchina editoriale che Giulio Einaudi aveva creato e a cui ogni autore doveva sottomettersi per provare così a fiorire o a sparire. Molte sono state le invenzioni manageriali e promozionali di Einaudi (pensiamo soltanto alle fantomatiche riunioni del mercoledì pomeriggio, in cui si dibatteva sulla possibilità di inserire o meno un testo nel piano editoriale e non era permesso di parlare di ritorno economico, ma solo della qualità del testo), tante sono ancora in uso presso alcune case editrici che tentano di avvicinarsi allo standard (parola odiatissima da Giulio Einaudi, insieme a “progetto”) qualitativo che Einaudi ha proposto ed imposto al mercato italiano. Vero Principe in chiave rinascimentale dell’editoria, Giulio Einaudi, con tanto di fedelissimo seguito, carattere difficile e l'apparente noncuranza verso le logiche commerciali, è riuscito spesso a innovare il mercato editoriale, piuttosto che a seguirlo,rifiutandosi di adeguarsi alle presunte esigenze dei lettori, impegnandosi fieramente a rischiare di cambiarle. Einaudi ha contribuito alla crescita di una parte importante dell’Italia, quella dei lettori, che si affidavano con fiducia allo struzzo, consapevoli che avrebbero dovuto combattere con molte delle idee contenute nelle pagine del libro Einaudi che avevano scelto e che questo era un bene. Questo tipo di coraggio, sostenuto, va detto, anche dal tessuto sociale, intellettuale ed economico a cui Giulio Einaudi apparteneva, è quello di cui, come lettore, sento oggi il bisogno. Davanti ad un contesto editoriale che, spesso, predilige adeguarsi ai presunti gusti dei lettori, con il reale obiettivo di livellarli e semplificarli sempre di più, rendendo i lettori sempre meno inclini a gustare la qualità e il coraggio della diversità, c’è bisogno di ancora più coraggio, c’è bisogno di rischiare molto di più, puntando, perché no, ad un piano editoriale con poche uscite annue, in cui si creda veramente.
Chissà che il 2012 non ci sorprenda. Buon anniversario einaudiano a tutti.
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