Giuseppe Allamano /Missionarietà tenace /Anniversario della beatificazione

Creato il 07 ottobre 2012 da Marianna06

Oggi,7 ottobre, accanto all’apertura ufficiale, a Roma, del  Sinodo che discuterà su”La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”, c’è un'altra ricorrenza  importante per il mondo missionario e, in particolare per la”famiglia”religiosa di Giuseppe Allamano, fondatore in Torino, agli inizi del ‘900,  dell’Istituto dei missionari e delle missionarie della Consolata.

Sono,cioè, trascorsi, 22 anni da quel 7ottobre 1990 quando l’allora papa Giovanni Paolo II, nella gremita piazza San Pietro,dichiara il “servo” di Dio, Giuseppe Allamano , “beato”.

In quest’ottobre 2012 che è davvero molto speciale(apertura, giovedì 11, dell’Anno della Fede ), poiché l’ho fatta “mia”, voglio semplicemente ricordare una frase che l’Allamano  era solito ripetere ai suoi e cioè : “chi non arde, non incendia”.

 E ,state pur certi, che un uomo mite ma tenace, come Giuseppe Allamano, non era  affatto un piromane.

Egli si riferiva e voleva dagli altri, da tutti possibilmente, quell’ardore del cuore che,quando c’è, induce la persona a valicare mari e monti per eseguire quanto ci si è prefisso.

Senza escludere, poi, che i “mari e i monti” oggi possono essere, e sovente lo sono, dietro l’angolo di casa nostra.

Un ardore, quello missionario, dicevo, molto particolare ,che ti spunta dentro quasi senza che tu te ne accorga, ma che, incalzandoti, ti fa consapevole che ciò che stai per scegliere è molto più importante di ogni altra strada possibile.

Ed è “mistero”. Mistero di fede. Proprio così.

Missione(missio ad gentes), passione missionaria, altro non è che spendere a titolo gratuito la propria vita per portare la “Parola”, parola per eccellenza, ma anche modeste parole di “speranza”, ai lontani, affinché tutti ricchi o poveri, colti o ignoranti, felici o disperati, sani o malati, uomini o donne, anziani o bambini,possiamo e possano pregustare fino da ora quella pace e quella serenità, che Gesù ci ha promesso quando saremo e saranno  con Lui nella casa  del Padre.

Ma l’Allamano chiedeva ai suoi missionari e alle sue missionarie, anche e soprattutto, la“perseveranza”.

Missione, infatti, non è mai avventura. E sono tanti i problemi e molteplici gli inconvenienti.  Inconvenienti come malattie e/o morte fisica. Il martirio, ad esempio, che per il missionario o la missionaria è messo in conto fin dal principio.

Ma il missionario è anche chiamato ,sul campo, a fare, ossia ad essere operativo e, quindi, uomo o donna dell’organizzazione(basti vedere la realizzazione dei numerosi progetti).

Si sporca le mani in mille e uno mestieri, se c’è il bisogno. Non può permettersi di stare a guardare.

Il suo compito è affiancare, sempre e con discrezione, per “crescere insieme all’altro e far crescere”in reciprocità.

Ritornando alla tenacia, che non è una virtù facile da alimentare,ecco una simpatica storiella africana.

Da tenere a mente.

Un giorno di tanti e tanti anni fa, quando ancora  nel continente nero regnava la pace e gli uomini erano sereni, in un piccolo villaggio del Congo, un cane scorge all’improvviso una graziosa antilope, che si allontana di corsa in direzione della foresta.

Egli pensa subito di placare i morsi della sua fame con la malcapitata.

Insieme a lui, però, scorgono l’antilope anche altri cani.

Tutti insieme, allora, abbaiando prendono a correre dietro l’antilope. Ma il tragitto è molto lungo, la strada difficoltosa e l’antilope molto scattante.

Così, dopo aver percorso alcune miglia, gli altri cani si stancano e  decidono di desistere dall’impresa.

Solo il primo, pertanto, continua imperterrito la “sua” corsa così come l’ha iniziata.

Chi ha orecchie da intendere,dunque, intenda.

   Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

  

    


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