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Giuseppe Conti, Firenze – Le feste di San Giovanni -2

Da Paolorossi

[...] Dopo ricevuti gli omaggi, la Signoria si recava a portare l'offerta a San Giovanni. In quel giorno si usava di mettere, tutto intorno al tempio, delle grandi tende attaccate ad alcuni anelli infissi nelle pareti esterne della chiesa e alle case che circondavano la piazza. Queste tende furono da principio di tela turchina, con gigli di tela gialla rapportati; ma siccome più d'una volta per burrasche impetuosissime o per incendi venivano distrutte, poiché all'esterno del tempio si accendevano cento lumiere, attaccate ai canapi che reggevano le tende, in modo che di notte "pareva anche a gran distanza di pieno giorno," la Signoria impose all'arte di Calimara di rifarle a sue spese, cedendole, in compenso, una parte del dazio sul vino che ogni anno, per San Giovanni, si vendeva a centinaia di barili in Piazza della Signoria. [...]

Poi, col tempo, andò perduto l'uso che nel giorno di San Giovanni l'arte de' Mercatanti addobbasse e parasse la nicchia di detto santo all'esterno della chiesa d' Or San Michele, dove vi si celebravano messe per tutta la mattina. Questa usanza era anche per gli altri santi nelle nicchie di San Michele, quando ricorreva la loro festa.

Sotto il principato Mediceo le feste di San Giovanni perdettero quel loro carattere austeramente grandioso; la città, invece d'aver l'impronta d'uno stato ricco e felice, assunse quello della servitù dorata, e le feste ebbero più il fasto e l'apparato teatrale, che la magnificenza d'un popolo libero.

Sotto la Loggia dell'Orcagna, dove si erigeva un "regio e maestoso baldacchino," il Serenissimo Granduca, come faceva l'antica Signoria, riceveva con molta pompa l'omaggio da tutte le "città, terre e castella, marchesati, contee e luoghi a lui sottoposti," ciascuno dei quali era chiamato da un banditore. Quindi andava ad offerta a San Giovanni, seguìto dall'ambasciatore di Lucca, dal Magistrato Supremo e dagli otto Magistrati. Terminata l'offerta, da un sacerdote, sulla porta del tempio, si benedivano i cavalli che il giorno dovevano correre il palio de' barberi.

Quattro giorni prima e quattro giorni dopo quello di San Giovanni, si poneva al leone di Piazza, ossia al Marzocco, la corona in testa; e durante quel tempo, avevano piena libertà e sicurezza i debitori, i cessanti o falliti, i banditi e i condannati per qualsivoglia delitto. Sotto certi rispetti si può dire che al giorno d'oggi il Marzocco abbia la corona in testa tutto l'anno, ed è per questo non gli si mette più per San Giovanni.

Dopo vespro - sempre la vigilia - si faceva "solenne cavalcata de' Serenissimi Principi e de' Cavalieri, e la sera si correva in Piazza di Santa Maria Novella il palio de' cocchi, simile agli antichi giuochi olimpici," istituito da Cosimo I nel 1563, quello stesso che fece erigere sulla piazza due guglie in legname, che poi nel 1608 da Ferdinando I furon fatte costruire in marmo misto di Serravezza, sorrette dalle quattro testuggini eseguite dal Giambologna.

Nei primi quattro anni quella corsa si fece con le carrette; e nel 1567 si usarono per la prima volta i cocchi alla romana, fatti a guisa di carri trionfali, in numero di quattro, variati di colore. I carri erano tirati ognuno da due cavalli guidati da cocchieri di Corte, dei quali era ammirabile l'abilità nel voltare a gran carriera attorno alle guglie, facendo la gara per vincere.

Dopo avere assistito alla corsa dei Cocchi, il Granduca e i Principi andavano a San Giovanni, dove si recavano anche i Magistrati di tutte le arti e si faceva l'offerta della cera.

La sera, a notte, si facevano luminarie per tutta la città, e specialmente alla cupola e al campanile di Santa Maria del Fiore; e sulla torre di Palazzo Vecchio si bruciavano girandole e fuochi.

Da una cicalata inedita del poeta Fagiuoli, si rileva che ai suoi tempi "nel giorno di San Giovanni Battista nella piazza già de' Signori, vendevasi a soma il vino bianco ed in quantità le polpette in bei tegamoni sopra diverse tavole esposti; i ceci freschi si vendevano a mazzi per sollazzo della plebe, e ceci spassatempo si chiamavano, siccome alcune paste dolcissime, fatte di farina, miele e pepe, le quali appunto (cred' io) per trarne la vera etimologia, perché dovrebbero confortare lo stomaco, confortini eran dette.

Quivi moltissime fastella di scope quella sera si abbruciavano, dove la più scelta baronìa, a fare alle tizzonate divertivasi, e sulla torre del Palazzo medesimo ardevano bombe, girandole e razzi, e nel vasto salone di quello - detto il salone de' Cinquecento - il giorno seguente, allegri balli di gioventù d'ogni sesso dei vicini villaggi facevansi, i quali forse per la troppa frequenza di parentadi che in tale occasione imbastivansi, o per troppo cooperare al moltiplico dell'uman genere furon del tutto vietati."

E dopo avere anche il Fagiuoli descritto il palio conclude: "Così in tal giorno si tripudia e festeggia e sventola in cima del gran campanile quella benedetta bandiera, che fa sbucar fuori certi vipistrelli, che non vedeansi di giorno; e molte altre cose fannosi insomma d'allegrezza e di spasso." [...]

( Giuseppe Conti, tratto da "Firenze vecchia - Storia, cronaca anedottica, costumi (1799-1859)" , 1899 )

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