Racconta Plutarco[1] che Clito, una volta, in un banchetto a Babilonia, ebbe un diverbio con Alessandro il quale, adirato, percosse quel generale scagliandogli addosso una delle mele poste a tavola; poi, cercando impetuosamente la spada per ferirlo, chiamò alle armi, col linguaggio macedonico, gli armati di targhe. Il che era il segnale di un avvenimento pericoloso. Si tenga presente, infatti, che i Macedoni utilizzavano la propria lingua madre nel momento culminante di un evento straordinario, allorché essi volevano l'aiuto dei più fidi guerrieri della nazione, per non essere compresi dagli stranieri.
Giuseppe Crispi (1781-1859)
Il Curzio riporta che Alessandro interrogò Filota, il quale doveva difendersi da un'accusa di tradimento, offrendogli la possibilità di scagionarsi parlando nella sua lingua al cospetto dell'esercito composto di Greci, di Macedoni e di Illirici. Filota rispose: “Oltre ai Macedoni qui ci sono soldati di diverse nazioni i quali, credo, mi capiranno più facilmente se userò quella stessa lingua di cui tu stesso ti sei servito, avendola tu adoperata proprio perché fosse compresa dalla maggior parte dei presenti.
Frontespizio del libro
E sebbene, come fa notare il Crofìo[2], Curzio non indichi in quale linguaggio Alessandro avesse parlato in quella occasione, è tuttavia verosimile che, per essere capito da tutti i Greci, e non dai soli Macedoni, avesse fatto uso della lingua greca.
Stando al racconto di Plutarco, Neottolemo riferì ad Eumene che i Macedoni desideravano fortemente Cratero come re, tanto che, al solo vederne la causia, e all'udirne la parola, sarebbero impetuosamente passati in armi dalla sua parte. Appreso ciò Eumene, comportandosi da uomo scaltro, fece sì che nel suo esercito non venisse mai pronunciato il nome del generale contro cui si doveva combattere. Il che gli valse la lode suprema del celebre biografo greco. Vero è che la parola τήν φωνήν (tin fonin), che usa Plutarco, significherebbe la voce; nondimeno, da tutto il contesto, si ricava il termine che debba tradursi piuttosto con linguaggio, alludendo proprio all'idioma macedonico.
Ma si tralasci pure questo episodio, che potrebbe prestarsi a qualche equivoco, e si prenda in esame l'altro più chiaro, che si legge nella stessa vita di Eumene. Questo generale era stato colpito da una grave malattia. Il suo esercito, scoraggiato, non voleva affrontare il nemico. Saputo ciò, Eumene si fece portare in lettiga; non appena il condottiero fu visto affacciarne la testa, venne salutato in lingua macedonica dai Macedoni che, innalzando gli scudi e battendo a terra le aste, emisero grida di giubilo per la presenza del generale, e provocarono a battaglia il nemico.
In Ateneo, riguardo alla lingua macedonica, si legge: Ho conosciuto, dice Cinulco, parecchi Ateniesi, i quali, avendo conversato coi Macedoni, non rinunciano ad usare parole ed espressioni macedoniche. E Strabone, enumerando i popoli soggetti ai Macedoni, afferma che non pochi di loro parlavano due lingue, cioè la macedonica e la greca; e che i Macedoni, gli Epiroti, ed altre popolazioni di quella regione si assomigliavano nell'uso della tosatura, nel linguaggio, nella clamide, e per altre simili usanze.
Sappiamo da Plutarco che Alessandro si serviva di Efistione per dare ai Barbari comunicazioni ufficiali, e che Cratero rispettava con estremo puntiglio la procedura nazionale sia per comunicare coi Greci sia coi Macedoni. Dal testo appare in modo evidente la distinzione che fa Plutarco tra gli Elléni e i Macedoni: τοίς Ελλησι και Μακεδόσι (tis elisi ke tis makedosi); distinzione ancor più marcata se si parla di Cratero, descritto come un uomo zelante nelle cose patrie, cioè macedoniche, tra le quali c'è l'amore per la lingua. A ragione, perciò, il Crofio e il Wolfgangio conclusero che la lingua dei Macedoni fosse diversa dalle altre della Grecia.
Né si può dire che questa diversità consistesse soltanto in una dissociazione dialettale, come per esempio differivano tra loro i dialetti attico, dorico, ionico ed eolico, che in fondo formavano la lingua greca, compresa da tutti quanti gli Elléni, per il fatto che il macedonico, come di sopra è stato dimostrato, non era capito dalla gente ellenica; e poi i Macedoni costituivano una etnia distinta del tutto dai Greci. Il che non è difficile desumere da palesi argomenti.
Alessandro, rivolgendosi al cardiano Seuodoco e ad Artemio di Colofone, adirato disse, inveendo contro Clito: “Non vi sembra che gli Elleni trattino con superbia i Macedoni, come se fossero semidei tra bestie?” I Greci autentici erano fieri della propria cultura, e consideravano barbari i Macedoni, tuttavia non è documentato che, per esempio, gli Ateniesi abbiano definito barbari i Peloponnesiaci, quantunque questi fossero di origine dorica, o i Tebani, o i Locresi, o quelli della Eubéa e via dicendo, perché tutti costoro, sebbene avessero differenti dialetti, venivano comunque denominati Greci. Al contrario Demostene, nelle arringhe contro Filippo, e precisamente nella III, chiama più che barbaro quel re il quale non solo, dice l'oratore, non è affatto Greco, e con i Greci non ha nulla in comune, ma neanche è di quei barbari che hanno una certa fama. Eppure Demostene sapeva bene che Filippo discendeva dagli Eraclidi; infatti, Plutarco riferisce come dato certo che gli antenati di Alessandro fossero gli Eraclidi tramite Carano per parte di padre, e dal lato della madre egli originasse dagli Eacidi da Neottolemo; eppure, all'oratore greco bastò la sola connotazione di Macedone per dileggiare in quel modo il sovrano della Macedonia, dove riteneva che permanessero gli antichi barbari con la loro arretrata cultura, mentre nell’Ellade il progresso aveva, a suo dire, allontanato i barbari ed il loro linguaggio. Se qualche volta i Macedoni nell'antichità vengono accomunati con i Greci ciò accade perché, vista la loro potenza militare, specialmente dai tempi di Alessandro in poi, anche in Macedonia fu introdotto il culto del grecismo, e i Greci stessi cominciarono a vantarsi dell'Impero macedone, guardandolo come se fosse loro, tanto che Demarato di Corinto, familiare di Alessandro, vedendolo assiso sul trono di Dario sotto il baldacchino dorato, pianse di tenerezza, come fanno i vecchi, e disse che quei Greci che erano morti prima si erano persi lo spettacolo di vedere 'Alessandro seduto sul trono di Dario'.
Non può esserci alcun dubbio, dunque, che la Macedonia sia del tutto diversa dalla Grecia, e che abbia avuto una lingua tutta sua, una lingua primitiva e barbara, legata al frigio ed al pelasgico, che secondo tutte le prove da noi addotte è l’attuale l'albanese, che ben si lega con l'antico macedone.
[1] Vita Alex.
[2] Joh. Bapt. Crophii, antiqui. Maced. Lib. 2. Cap. 5 apud Jacob. Gronov. Vol. 6.
Liberamente tratto dal libro Memoria sulla lingua albanese di Giuseppe Crispi
P.S. Gli amministratori del blog vi augurano una buona estate e vi danno appuntamento a settembre con nuovi "enigmatici" post sulla lingua albanese. Che sia un'estate piena di appassionanti letture.