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Giuseppe D'Arimatèa di Michele Perrotta
“ Venuta la sera giunse un uomo ricco di Arimatèa, chiamato Giuseppe, il quale era diventato anche lui discepolo di Gesù. Egli andò da Pilato e gli chiese il corpo di Gesù. Allora Pilato ordinò che gli fosse consegnato. Giuseppe, preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un candido lenzuolo e lo depose nella sua tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia; rotolata poi una gran pietra sulla porta del sepolcro, se ne andò”.
(MATTEO 27:57-60)
“ Giuseppe d'Arimatèa, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anche lui il regno di Dio, andò coraggiosamente da Pilato per chiedere il corpo di Gesù. Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, lo interrogò se fosse morto da tempo.
Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe. Egli allora, comprato un lenzuolo, lo calò giù dalla croce e, avvoltolo nel lenzuolo, lo depose in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare un masso contro l'entrata del sepolcro ”.
(MARCO 15:43-46)
“ Tutti i suoi conoscenti assistevano da lontano e così le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, osservando questi avvenimenti. C'era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, persona buona e giusta. Non aveva aderito alla decisione e all'operato degli altri. Egli era di Arimatèa, una città dei Giudei, e aspettava il regno di Dio. Si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Lo calò dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo depose in una tomba scavata nella roccia, nella quale nessuno era stato ancora deposto. Era il giorno della parascève e già splendevano le luci del sabato. Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono la tomba e come era stato deposto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo secondo il comandamento ”.
(LUCA 23:49-56)
“ Dopo questi fatti, Giuseppe d'Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo, quello che in precedenza era andato da lui di notte, e portò una mistura di mirra e di àloe di circa cento libbre. Essi presero allora il corpo di Gesù, e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com'è usanza seppellire per i Giudei. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto. Là dunque deposero Gesù, a motivo della Preparazione dei Giudei, poiché quel sepolcro era vicino ”.
(GIOVANNI 19:38-42)
Giuseppe d’Arimatèa è una delle figure più enigmatiche del Vangelo.
Discepolo di Gesù, se pur in maniera segreta, Giuseppe compare in tutti e quattro i Vangeli canonici, viene inoltre associato alle tardive leggende medievali sul Santo Graal. Ritenuto in alcuni resoconti apocrifi, addirittura, come un parente del Cristo (un suo prozio), Giuseppe sembrerebbe legato, sempre secondo alcuni racconti medievali, anche al Druidismo.
Secondo quest’ultima leggenda Gesù, chiamato anche con il nome di Yeshua-David (molto probabilmente Yeshua bar David – Gesù figlio di David – intesa come discendenza davidica – della tribù di Giuda), si recò in Inghilterra, nella mistica zona di Avalon, a Glastonbury, importantantissima zona dedita al Druidismo, per commerciare stagno con lo zio di sua madre, Giuseppe d’Arimatea, appunto!
Sempre secondo queste tradizioni nordiche, diffuse per la maggiore in britannia, è del tutto probabile che Giuseppe portasse con sé nei suoi viaggi di lavoro il giovane Gesù negli anni che noi conosciamo come “anni sconosciuti di Cristo”. E’ attraverso questii viaggi che sia Giuseppe d’Arimatea che il giovane Gesù avrebbero appreso i segreti del druidismo.
Nell’Enciclopedia Treccani troviamo, invece, le seguenti informazioni inerenti al Santo Graal e a Giuseppe d’Arimatèa:
“…Nella Estoire dou Graal, scritta fra il 1221 e il 1225, leggiamo come Giuseppe d'Arimatea fosse istigato da una voce celeste ad andare predicando la fede di Cristo con i suoi compagni, fra cui il figlio, e come questa predicazione giungesse, indipendentemente da Roma, sino in Inghilterra. Questi predestinati a propagare la parola di Cristo erano accompagnati nel loro viaggio dalla virtù miracolosa di un sacro vaso, contenente il sangue del Redentore: il Graal.
Il romanzo di Lancelot dipende per non piccola parte da un poema, che ci è stato anch'esso conservato, di Robert de Boron, scritto sullo scorcio del sec. XII e intitolato Roman de l'estoire dou Graal, prima parte di una trilogia, di cui le due ultime sezioni (Merlin e Perceval) ci sono giunte solo in un rimaneggiamento in prosa. Anche della prima sezione abbiamo una redazione prosastica (Joseph d'Arimathée); in questa, come nell'opera di Robert, l'intento eretico non si nota.
Questa leggenda ha una lunga preistoria, la quale ci conduce all'evangelo di S. Matteo (XXVII, 57-61), in cui è raccontato come, morto Gesù, Giuseppe d'Arimatea avesse chiesto e ottenuto da Pilato il corpo del Salvatore per dargli sepoltura. Troviamo poi il racconto di S. Matteo svolto ed esteso nel cosiddetto Pseudo-Evangelo di Nicodemo, composto non dopo il sesto secolo, nel quale si legge che gli Ebrei, irati contro Giuseppe, lo avevano chiuso in una prigione per dargli la morte, ma che poi, aperta la porta, non vi avevano più trovato il prigioniero, sebbene i sigilli apparissero intatti.
In seguito, la narrazione si arricchì e si ampliò; e in un testo latino prezioso, che fu rimaneggiato in versioni romanze poetiche e prosastiche (laVindicta Salvatoris), essa si trova combinata con altra leggenda: Vespasiano e Tito, per vendicare la morte di Gesù, erano andati a Gerusalemme, ove, distrutta la città, avevano punito gli Ebrei.
Vespasiano aveva trovato entro la torre, dopo quarant'anni di prigionia, ancor vivo Giuseppe d'Arimatea, assistito dai prodigi del sacro vaso, il Graal (lat. mediev. gradalis "catino, vaso, recipiente", nel quale Giuseppe aveva raccolto il sangue stillante dalle piaghe di Cristo. Tutta questa fioritura di sacre leggende si trova nel poema di Robert de Boron, donde passò, con sviluppi e rimaneggiamenti profondi, nel Lancelot.
Poi il Graal andò perduto.
Esso non poteva essere rintracciato che da un uomo puro, che nell'opera di Rokert doveva essere Perceval e nel Lancelot invece, Galaad. Così nacque un'altra grande sezione della leggenda che fu incorporata alla precedente, come un suo necessario complemento, e costituì l'ultima parte della trilogia di Robert e del romanzo in prosa.
Durante il suo svolgimento, questa leggenda di carattere religioso s'era venuta incontrando con leggende profane in qualche parte affini.
Nelle tradizioni celtiche si trovava ricordo, come nella leggenda di Peredur (uno dei più interessanti racconti omabinogion tramandatici da una grandiosa collezione leggendaria celtica detta del "Livre rouge" di Hergest nel Jesus College di Oxford), di vasi incantati e magici, che avevano proprietà miracolose. Mentre Robert de Boron si atteneva alla leggenda religiosa, ecco che Chrétien de Troyes, nel suo famoso poema Perceval, narrava avvenimentì che hanno riscontro nella leggenda celtica di Peredur e creava nel protagonista del suo romanzo il tipo dell'eroe del Graal, destinato a una grande fortuna letteraria. Ma, in Chrétien, il Graal non è identificato col vaso di Giuseppe d'Arimatea.
Questa identificazione l'abbiamo soltanto nelle opere dei suoi continuatori (Vauchier de Denain, Gerbert, Manessier, tutti del sec. XIII).
Per lui, la narrazione sacra del vaso si direbbe che non esista.
Chrétien trovò un imitatore in Germania: Wolfram von Eschenbach (morto nel 1220), il cui poema Parsifal fu destato dall'oblio sul finire del sec. XVIII e studiato durante il periodo romantico, quando si andavano disseppellendo gli antichi testi del Medioevo.
Se ne fecero varie traduzioni.
Una di queste (quella del Simrock, 1842) fu conosciuta da Richard Wagner, il quale ne trasse ispirazione per il suo dramma religioso musicale, Parsifal, nel quale la leggenda assume nuova significazione e profondità, in quanto esprime la lotta e la vittoria del bene contro il male: dramma o mistero esoterico, in cui i personaggi sono rappresentazioni di forze cosmiche (Parsifal è la purità che si fa cosciente attraverso le esperienze della vita, Kundry è la passionalità bruta, Amfortas è la debolezza, il peccato, ecc.).
Questa, nelle linee fondamentali, la leggenda del Graal, che presenta un' infinità di problemi difficili e complessi e che ottenne sì grande diffusione nel Medioevo, da penetrare entro altre leggende illustri, come quella di Merlino, ad esempio, e quella di Tristano...”.
Vi è addirittura una leggenda di matrice gnostica, peraltro ripresa anche da una setta islmamica ritenuta eretica, gli Ahmadiyya, che racconta di un Gesù, chiamato Issa, che, dopo essere stato curato e medicato in seguito alla Crocifissione, ritornò nei luoghi ove aveva trascorso la giovinezza, tra cui il Kashmir, dove continuò la sua predicazione.
Qui assunse il nome di Yuz Asaf o Yusu Asaf e tutte le persone lebbrose che lui guariva venivano chiamate Asafi, i purificati.
A Srinagar, nel Kashmir, si troverebbe anche la presunta “tomba di Gesù”.
Tuttavia sembra che in realtà essa appartenesse ad un suo discepolo. Il corpo di questo uomo fu sepolto secondo la tradizione ebraica in posizione est-ovest nel mausoleo di Roza Bal.
Gesù, stando sempre dietro a ciò che ci narrano questi racconti, era riuscito a sopravvivere alla crocifissione grazie ad uno stato di semi-morte dovuto alla Mandragora, una pianta velenosissima capace di far cadere il soggetto in uno stato di morte apparente; ad escogitare questo “piano di fuga” fu proprio Giuseppe d’Arimatèa, il misterioso personaggio che, ancora oggi, resta custode dei misteri legati al Cristo, che siano essi il Santo Graal o la sua misteriosa comparsa e scomparsa nell’Evangelo stesso.
Anche Giuseppe d’Arimatea, come Gesù di Nazaret, era di discendenza Davidica e, in qualche modo, legato ai “senza generazione” alla maniera di Melchisedech, l’Eterno Re sacerdote.
Sicuramente possiamo affermare, senza alcun ombra di dubbio, che Giuseppe d'Arimatèa, come Cristo, Melchisedech, e le leggende legate al Santo Graal, ispira, ancora oggi, all’iniziato che ricerca i misteri del regno di Dio, tutto il fascino dell’ignoto, e con esso tutto il suo arcaico simbolismo che in qualche modo illumina l'anima da un'altra dimensione:
la dimensione dell'Eterno (Dio).
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