Giuseppe Rotoli - Porta luce il dolore – La Vita Felice 2012
Porta luce il dolore di Giuseppe Rotoli è una raccolta poetica struggente, inevit
abilmente condivisibile: arriva al lettore come un canto di un soldato prigioniero del suo male, lì sulla lettiga, che guarda se stesso andare verso il suo destino (La casa in collina, Pavese). Il corpo aggredito dalla prigionia della malattia chiede, si mette in discussione, coglie l’intenzione del progetto cosmico, sa che la corsa verso la guarigione è un percorso che passa attraverso la metamorfosi della carne e la purificazione dello spirito. E’ un addestramento all’esperienza dell’intero ciclo vitale, una nuova prospettiva d’ascolto del silenzio dell’anima. Comincia l’interrogazione agostiniana, intima e profonda con Dio. Un dialogo che rassicuri, protegga e che possa rompere la congiura di un destino infausto, crudele che mira alla perdizione della carne, al declino della fede. L’autore, invece, non si lascia sconfiggere dal dolore del mondo: seleziona, come un chirurgo oncologo, ogni fragilità anatomica del corpo e della realtà delle cose per attraversarla, comprenderla, accoglierla. La poesia diventa fisicità emblematica che fiorisce e perisce in un lasso di tempo in cui sono in bilico le metafore che si soffermano sulla propria essenza ‘parlante’. Il corpo malato e trasfigurato usa la propria mente per rispondere alla conoscenza della memoria della morte filiale elaborando, così, l’abbandono dei luoghi abitati dagli eventi luttuosi, ripercorrendoli, sezionandoli, riconoscendoli. L’ambiente ospedaliero diventa materia poetica per educare alla peregrinazione fisica e mentale del rischio della perdita. L’itinerario è laico e mistico a un tempo: i rituali di spoliazione delle scorie malate si muovono in uno spazio geografico in cui si compiono scoperte decisive, mature, intime. Uno spazio/tempo in cui Rotoli non si chiude ai compromessi emotivi, ma che propone al lettore come prosecuzione inesorabile della vita a cui, comunque, bisogna affidarsi. Il dolore non è un nemico da abbattere né un alieno da subire: il poeta ci aiuta a mantenere il controllo del corpo e dell’attacco del tempo che avanza in modo inesorabile le rendo/scarse le ore e coniugo/muro e morte nella nostalgia/della luce. La paura della sofferenza non riesce ad insinuarsi nelle parole dell’autore che sorveglia il contatto traumatico e inquietante con la Croce di Cristo. Giuseppe Rotoli entra in totale confidenza con la Via Crucis del Verbo, tanto da viverla in modo parallelo come ampliamento catartico del proprio percorso terreno. La Luce è l’obiettivo da raggiungere, da verificare, poco per volta, in modo silenzioso, ma necessario per evolvere la propria essenza umana, per confrontarla al divino, per giustificarla. (rita pacilio)
Con me la trama del corpo
si fa polvere, polvere impazzita,
polvere bruna, che dà sgambetti
alle lancette dei giorni, che soffoca
i vecchi concerti delle voci.
E mi impianto
qui sulla carne bianca, qui
per gli inverni che ti concedo
senza lasciare la presa
e dando veleno alla sapienza
dei luoghi, da farti straniero
ovunque, anche negli infiniti
paesaggi dell’anima.
***
Se avessi mani veloci
la falce non la fermerei mai;
senza sosta il sibilo del taglio,
il sibilo delle labbra nell’ultimo
incontrarsi, il sibilo nero
che stermina e abbatte
i giorni azzurri.
Spezzerei il tempo e le parole,
gli ultimi ricordi di paesaggi
e di famiglie. Nulla più
resterà da raccontare
se non il mio regno, che non può
durare a lungo.
***
1. Gesù è condannato a morte
Il tuo nome è la condanna, nome
che apre gli occhi, occhi che
spingono le cose nel buio
del mondo dove scorgiamo
il niente che siamo.
È questo niente di noi
che ti uccide. Il più terribile niente,
senza attesa né orma terrestre, un niente
che condanna a morte perché perde
segno, forma e silenzio.
Accende questo nostro niente
il rogo regale di Cristo.
***
So da dove viene il dolore,
la persecuzione della paura, da
sigle di terrore: tac, pet,
spet, mitragliata di sillabe
orribili, mentre le labbra portano
un rosario instancabile
e la casa del mio corpo riparte
con mattoni di preghiere.
E con queste pietre il corpo
contiene tutti i corpi,
tutti i tormenti, tutte le notti,
il mistero del male.
E le lame del perché, del
perché della fragilità si fanno
scuole sagge dove
lo scompiglio dell’inganno,
dell’orgoglio e dell’innocenza
vantata azzanna l’agnello
con numeri, con conti, con
municipalizzate e frenetico
fermo caos, in cui si fa fatica
a scorgere il bene comune,
a scorgere l’uomo.
Se solo ognuno sapesse ascoltare
il ronzio di questo rosario: pet,
spet, got, moc, tac.
***
La morte è mia intima nemica,
mi accarezza, lusinga, solletica,
mi maltratta e mi flagella
e rimane qui, dentro le
stanze del cuore gelato. Ha
saputo colpire spietata
con lame di cristallo, con il cristallo
del dolore. Contro Elisabetta.
Ma Eli non ha risposto
agli attacchi, agli affondi
acri della strega, alle fauci
della divoratrice
delle sorti, e come una foglia
di pesco, come la foglia che ha
dato frutto, sì, Eli ha
vinto la sua arroganza, le sue
parole nere e si è consegnata
dolce e mite all’Ora Infinita,
al Suo Signore fedele.
Giuseppe Rotoli, docente di lingua e letteratura inglese presso il liceo “L. Garofano” di Capua. E' critico letterario e si interessa in particolare della
poesia italiana ed inglese del Secondo Novecento.
Ha pubblicato sulla rivista «Le Muse», edita dagli Amici della Musica di Pignataro M., sulla rivista «Agorà».
Ha pubblicato le seguenti raccolte di poesie: Frammenti epifanici (Cultura Duemila Editrice, 1990); Un varco nel muro (Autore Firenze
Libri, 1992); La pigrizia del potere (Autore Firenze Libri, 1996); La cenere in bocca (LietoColle, 2010). Nel 1996 è vincitore del
Concorso di traduzione letteraria del “Premio Matera” con la traduzione di due poesie della poetessa contemporanea Wendy Cope.