Giusi Nicolini è una "leonessa". Lo dicono e scrivono in tanti. Una bella figura di combattente civile per i diritti e la dignità, esponente di una politica che dovrebbe tornare a farsi qualche domanda, oltre a millantare presunte risposte. Da quando è stata eletta, il sindaco di Lampedusa è anche un pungolo alla sedicente sinistra italiana. E infatti io sono ancora qui ad applaudirla per aver rifiutato nel 2014 la candidatura alle Europee con il Pd.
Due settimane fa a Giusi Nicolini sono stati riconosciuti ancora una volta i suoi meriti, stavolta a Parigi. Ha ottenuto il Prix Simone de Beauvoir pour la liberté des femmes, arrivato alla sua nona edizione (nel 2013 aveva vinto Malala). L'autorevole giuria l'ha premiata per la sua «azione coraggiosa e pionieristica a favore dei migranti e dei rifugiati» e lei ha, con il consueto piglio da "leonessa", richiamato l'Europa e l'Occidente intero alle proprie responsabilità.
Giusi Nicolini mi piace molto ed è per questo che mi fa molto piacere che l'edizione italiana di Global Voices, la rete internazionale di giornalismo partecipativo, mi abbia contattato per un mio vecchio post sul sindaco di Lampedusa e Linosa. Post citato nell'articolo di Abdoulaye Bah, anche lui gran personaggio: ultrasettantenne di origine guineana, ha lavorato per anni all'Onu, militante radicale, è finito persino in Habemus Papam di Nanni Moretti (faceva il cardinale dello Zambia!). Grazie ad Abdoulaye Bah e a Global Voices. E naturalmente grazie a Giusi Nicolini.