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Giustizia tenue, ingiustizia forte

Da Albertocapece

Giustizia tenue, ingiustizia forteLicia Satirico per il Simplicissimus

Parlando di giustizia mi arrabbio sempre, perché ho la sensazione desolante che interessi a pochi: a chi, come Alberto Capece Minutolo, si preoccupa giustamente del significato sociale di un diritto mite con gli insider e rude con gli sfigati, e agli sparuti legulei dotati di anima ormai protetti dal WWF. Questa è la confessione di una crisi esistenziale: non mi piace che, da qualche anno a questa parte, le leggi penali siano espressione della sola maggioranza parlamentare. Il diritto diseguale è diventato regola, veste formale, proiezione interessata o propagandistica di interessi inconfessabili. La prescrizione è stata sforbiciata, la clandestinità è diventata reato: lo status è oggi il vero confine dell’impunità, tra lodi e sconti di ogni tipo. Serpeggiano disegni di legge su processi poveri di mezzi investigativi e rapidi nei tempi imposti da imputati d’eccezione. La corruzione può attendere, mentre il destino della Direzione Investigativa Antimafia è sempre più incerto.

Mi pongo sempre più spesso il problema della percezione etico-sociale dei fenomeni criminali, in special modo di quello mafioso. Assumendo Claudio Scajola come paradigma antropologico, gli esiti sono sconcertanti. L’ex ministro, non pago delle leggendarie dichiarazioni sulla casa acquistata da misteriosi filantropi, prende parte al congresso Pdl di Arma di Taggia per assistere al trionfo bulgaro di suo figlio Marco. Lì si lascia andare compulsivamente a dichiarazioni sulla mafia come fattore di sviluppo, modernizzazione e ingentilimento estetico del territorio: il familismo trionfale, si sa, può dare alla testa. Il guaio è che le nuove teorie economiche dell’ignaro con vista sul Colosseo seguono di pochi giorni la dichiarata disponibilità del ministro Severino a non considerare più “un tabù” la certificazione antimafia, a vantaggio di una white list di imprese al di sopra di ogni sospetto (incluse quelle che costruiranno i nuovi penitenziari): una curiosa interpretazione del “Cresci Italia”.

Entrambe le dichiarazioni sono cadute nel nulla. Poco scalpore, del resto, suscitarono le affermazioni dell’ex premier su cinema e letteratura come supporto promozionale a una criminalità organizzata più leggendaria che reale. Pochi mesi fa, ancora Berlusconi disse che l’invio delle escort ad Arcore era un complotto della mafia ai suoi danni: si scoprì in questo modo che Cosa Nostra invia torpedoni di fanciulle d’avvertimento alle persone che vuole rovinare. “La mafia fa schifo” era il motto di Totò Cuffaro, oggi a Rebibbia, condannato in via definitiva per favoreggiamento a Cosa Nostra. La familiarità con qualche boss aleggia anche su Raffaele Lombardo, che governa imperterrito la Sicilia forte di un’alleanza col Pd sconfessata da una parte del Pd (ma questa è un’altra storia). Il territorio dei perseguitati della giustizia è il Parlamento, che conta tra Camera e Senato circa ottanta inquisiti o condannati, di cui quasi un terzo per corruzione, falso in bilancio e finanziamento illecito ai partiti. Tra essi spiccano Marcello Dell’Utri, Saverio Romano e Nicola Cosentino, che hanno sperimentato la questione della contiguità con organizzazioni di stampo mafioso ben al di là della discussione teorica di progetti di legge. D’altronde, i processi per mafia portano fortuna: Andreotti è diventato senatore a vita e ha da poco compiuto 93 anni.

Questo è il contesto istituzionale in cui è maturato negli ultimi anni il principio per cui la legge non è uguale per tutti. La prescrizione tenue, il processo tenue, il reato tenue sono la conseguenza giuridica della percezione tenue di fatti gravissimi: di un cedimento dell’etica pubblica confermato dalla remissività collettiva verso un potere politico sempre più arrogante. Che il Parlamento nella sua attuale composizione possa legiferare serenamente in materia penale è assai discutibile: non potendo pretendere un fermo biologico normativo fino alla fine della legislatura, c’è da augurarsi che Camera e Senato si astengano dal portare avanti “riforme condivise” e rivoluzioni “soft”.
Sciascia amava citare il sociologo tedesco Henner Hess, secondo cui il mafioso non sa di esser tale perché vive nella sua sottocultura come un feto nel liquido amniotico. In questo senso Scajola, ancora una volta, è feto a sua insaputa.


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