Vi chiederete come si possa protestare in una camera d’albergo. La loro era una protesta a dir poco singolare: la chiamarono bed-in. Tutto quello che facevano era stare a letto, in pigiama, rilasciando ai giornalisti interviste in cui parlavano di amore e pace universali e si scagliavano contro la guerra e le spese correlate e facendosi ritrarre dai numerosi fotografi con alle spalle dei cartelli con scritto “Hair peace” e “Bed peace“. Vi fu un altro bed-in a Montreal, a distanza di qualche mese, durante il quale inoltre venne registrato il singolo Give peace a chance. Dopo soli sette giorni, la coppia tenne una conferenza stampa a Vienna, anche questa a dir poco particolare: si fecero intervistare interamente coperti da un sacco.
Comportamenti bizzarri e al limite, forse provocatori, ma comunque pacifici e non violenti: un modo come un altro per manifestare il proprio dissenso. Sicuramente si tratta di proteste più o meno condivisibili, ma comunque di grande impatto, soprattutto se calate nello spirito dell’epoca in cui sono state portate avanti. Al giorno d’oggi probabilmente non sarebbero comprese o non avrebbero alcun senso.
Mi chiedo cosa facciamo oggi per fare sentire il nostro no contro i conflitti. In questi giorni in cui la Libia è colpita da un’inutilissima guerra, bombardata giorno e notte, molti dei miei contatti su Facebook se ne sono preoccupati, linkando articoli a riguardo. L’iniziativa che però mi ha maggiormente colpito è la “No War Zone” organizzata all’aeroporto di Trapani Birgi (per informazioni visitate la pagina dell’evento). Credo sia importante essere dei novelli John e Yoko e farsi sentire.