Beno Fignon, Mille e un respiro. Aforismi, afasie, affanni, affabulazioni, affabilità, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2004
Rapido e nutriente, l’aforisma è un libro liofilizzato che condensa un intero messaggio, lungo e articolato, in sole due righe. È dunque il libro moderno per eccellenza: di sicuro il più adatto – e altamente consigliabile – a noi frenetici (o pigri?) abitanti della vita presente, che abbiamo sì tempo di leggere, ma per cinque minuti al massimo (se non all’anno).
Una comoda e composita biblioteca da viaggio
Una raccolta di aforismi assortiti – incentrata, per dire, sugli argomenti più vari (ad esempio economia, politica, quotidianità, cuore, tecnologia) – non potrebbe esimersi, allora, in alcun modo dall’apparire – integralmente e sotto ogni profilo – una piccola biblioteca ben formata, da intascare in valigia ed utilizzare magari in ispiaggia, scorpacciandosi via a forza di occhiate e olio di sguardo – così… come svago fra un bagno e l’altro – venti trenta volumi, o meglio sentenze. Ah, si capisce: tutte significative e argute a immagine di quelle che il compianto poeta Beno Fignon radunò per i tipi della Rubbettino in Mille e un respiro. Aforismi, afasie, affanni, affabulazioni, affabilità. Si tratta indiscutibilmente d’un’opera simpatica che copiosamente offre e garantisce una gamma composita di pensieri schietti, i quali ragionano in libertà su Dio e l’uomo, per sorridere in piena sagacia su tv, scienza, amore, anima… e sull’esistenza in genere.
Parole cortigiane, vil razza dannata!
Insomma ci troviamo dinanzi allo stile “dardeggiante” di un’allegria singolare e sintetica, spesso intrisa da un lato (è facile constatarlo) di sussulti bonari che sanno impartire un perdono sbarazzino ai vizi e vezzi del nostro mondo; ma dall’altro subito categorica (e dura) quando c’è da redarguire – con accenti secchi e concisi – il subdolo, vuoto esibizionismo (pneumatico e verboso) di una società da correggere, in cui la comunicazione si è ridotta, sull’onda di una slealtà incipiente, ad abuso imperterrito (addirittura logorroico!) ordito lucidamente per imporsi e ingannare: «Parolaio infuocato. Sotto il fuoco, quasi sempre, la cenere», «Parole, soldatini in riga nel vocabolario, sempre arruolabili per ogni tipo di guerra», «Il popolo non capirebbe, dicono. Così i politici amano coltivare il loro orticello di parole geneticamente modificate», «Volete sapere come procedere affinché le parole non diventino sabbie mobili? Unire la centomila per la risposta», «La radioattività e i campi magnetici dei telefonini generano tumori. E la parola radioattiva, subatomica e magnetica cosa genera?».
Giocando con stile (con lo stile) fra Zanzotto e Campanile
E ancora: «La parola non detta è integra, come Dio prima della creazione. È nella parola detta che si è insinuato il maligno». Per esorcizzarlo (ossia denunciarlo?) il pungente e “acuminato” Fignon – senza mai scadere in accuse urlate, malamente affette dall’accorato disprezzo della satira – mette alla berlina le magagne della realtà, oscillando continuamente fra l’epigramma e la freddura all’inglese, per poi raggiungere istanti d’ironia laconica («“Come ti guadagni da vivere?”, “Avendo un po’ di orrore di me stesso”») “improntati” ad Achille Campanile e, in particolare, all’umorismo giocoso – di tipo smascherante – che caratterizza “con perseveranza” le famose Tragedie in due battute.
Inoltre non bisogna tacere che, nei drammi spiritosi di Mille e un respiro, emergono (a tratti) anche influenze e virtuosismi linguistici, mutuati chiaramente (o così pare) da un autore creativo e importante come Andrea Zanzotto. Se questi infatti – al termine della lirica Al mondo – converte di getto un nome proprio, innalzandolo al rango d’imperativo («Su, bello, su. / Su, münchhausen. //»), Fignon – dal canto suo – compie una metamorfosi di “stampo” similare, stravolgendo un sostantivo in predicato: «Agli inglesi, filoamericani, non interessa l’Europa. Che Dio extracomunitari gli inglesi!».
E non mancano persino – a completare la pimpante ricchezza di echi e rimandi, che contraddistingue i motti, raggruppati in Mille e un respiro – contenute ma limpide “inflessioni” andreottiane, reperibili e “consultabili” a pagina ottantacinque, dove a spiccare sulle altre è una frase ben precisa. Eccola: «La libertà è radioattiva per chi la nega». E qui il riferimento “corre” indubbiamente, e con spontanea immediatezza, all’ormai classico (anzi molto di più: tradizionale e folcloristico) «il potere logora chi non ce l’ha».
Pietro Pancamo