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Gli Albanesi (2)

Creato il 13 febbraio 2011 da Elton77

-Seconda ed ultima parte-

Gli Albanesi non hanno cambiato gli usi e costumi che hanno ereditato dai Pelasgi e dagli Illiri. Hanno sempre vissuto in disparte dagli altri popoli. Anche al loro interno vivevano divisi e in inimicizia in piccole tribù. Se analizziamo i dati storici che ci riporta Strabone, noteremo che lo stile di vita che caratterizzava gli Albanesi nei tempi antichi continua anche oggigiorno ad essere lo stesso nelle montagne di Dibra e Scutari. Essendo in continua lotta anche fra di loro, gli Albanesi non hanno mai potuto essere uniti, codificare la loro lingua o creare una loro letteratura. Anche gli studiosi, che pur non mancavano loro, erano costretti a imparare lingue straniere per questioni politiche ed in questa maniera non hanno contribuito al progresso culturale del loro paese natio. Per questo loro modo di vivere così isolato, gli Albanesi non hanno mai cercato di cambiare il loro arcaico idioma, che è rimasto pressoché intatto, così come gli usi e i costumi.

Sami Frashëri 1850 - 1904

Sami Frashëri 1850 - 1904

Gli Albanesi, fin da tempi remoti, hanno vissuto divisi raggruppamenti tribali, e sono stati da sempre guidati dai loro capi tribù o dal consiglio degli anziani; è proprio per questo motivo cha la loro storia non è stata mai documentata. Come è noto, essi avevano formato tre stati; uno era collocato a Scutari, l’altro in Epiro e cioè nei territori di Ioannina, e il terzo aveva come capitale una città chiamata Pella, che si trovava vicino a Vardar. Questo terzo stato è meglio conosciuto come Macedonia, e la sua storia è ben nota. Esso ebbe la sua notorietà quando conquistò molti paesi del mondo fino a quei tempi conosciuto. I suoi eserciti, sotto la guida di Alessandro Magno, figlio di Filippo II, arrivarono fino in India. Per i noti motivi che abbiamo già descritto, anche Alessandro Magno imparò la lingua greca. Come i suoi soldati, lui stesso era Macedone per lingua e cultura. È nota la sua avversione verso i Greci, malgrado li considerasse un grande popolo. Il re più famoso del regno d’Epiro fu Pirro, che per ben due volte trionfò contro i Romani. Nonostante avesse ampliato il suo dominio fino in Grecia ed in Egitto e la sua ambizione fosse enorme Pirro, quando morì, lasciò un regno appena un po’ più grande di quello che suo padre gli aveva consegnato. Tra i re d’Illiria che raggiunsero la notorietà possiamo nominare Gent I, e la regina Teuta. Gli Albanesi, che sotto la guida di Alessandro Magno avevano conquistato il mondo, non accettarono la dominazione dei Romani, e si opposero ad essi con una strenua resistenza. Così, quando il generale romano Paolo Emilio riuscì a sconfiggerli, per vendicarsi della loro ribellione rase al suolo 85 città, e mandò a Roma, legati in catene, centinaia di migliaia di prigionieri. Fu proprio in quel periodo che iniziò la sventura del popolo albanese. Oppressi dai Romani, e poi per non subire le invasioni di popoli barbari come gli Avari, gli Unni, ecc, gli Albanesi si ritirarono nelle sicure montagne, lasciando così le pianure fertili. Una parte di essi, quasi la metà della popolazione, lasciò per sempre la propria patria, emigrando in Grecia, nel Peloponneso; coloro che rimasero invece in Albania, si ripararono in posti sicuri.

Gli Ottomani trovarono gli Albanesi divisi. Anche se alcuni dei principi albanesi opposero una debole resistenza, molti altri, capendo che non potevano competere con la forza bellica degli Ottomani, si arresero senza combattere, e così facendo mantennero le loro posizioni di predominio. Questi principi ottennero alcuni privilegi e diritti nell’Impero ottomano ma Skanderbeg riuscì ad unirne una buona parte per combattere contro l’Impero Ottomano. Essendo Skanderbeg un abile ed esperto condottiero, ottenne dal Papa e dagli altri re cristiani d’Europa la promessa di aiuti di ogni genere, promessa che non fu mai mantenuta. Skanderbeg combatté per molti anni contro gli Ottomani senza mai perdere. Dopo la morte di Skanderbeg, tutto il paese passò nelle mani dei Turchi. Durante questo periodo centinaia di migliaia di Albanesi emigrarono in Calabria, in Sicilia, in parte a Venezia, a Marsiglia e addirittura in Spagna. Soltanto coloro che s’insediarono in Calabria e in Sicilia formarono comunità albanesi che hanno conservato fino ai giorni nostri la lingua e la religione d’origine. Queste comunità contano in totale duecentocinquantamila persone.

Nel periodo in cui gli Albanesi dipesero dalla amministrazione ottomana, la maggior parte dei ricchi (i bey) abbracciò la fede Islamica. Dopo di ciò, gradualmente anche una parte della popolazione accettò la conversione all’Islam e così, in poco tempo, due terzi della popolazione albanese diventò islamica; il restante terzo si divise fra cattolici e ortodossi. In tal modo, gli stessi Albanesi che non avevano voluto sottomettersi ai Romani e a Bisanzio, contribuirono ad aumentare la fama e il potere dell’Impero Ottomano. Fino a quando vi fu un esercito regolare ed organizzato, gli Albanesi fecero parte di esso. Questi soldati combatterono finanche nel deserto del Sudan. L’Impero Ottomano, apprezzando la loro fedeltà, conferì loro posizioni sociali molto alte. I pashà albanesi che diventarono primi ministri furono 25; addirittura alcuni fra loro, nel periodo del Sultano Selim I e del Sultano Suleiman, arrivarono a ricevere cinque mandati consecutivi da primo ministro.

Anche gli Albanesi cristiani della Grecia e dell’Italia dimostrarono il loro valore. I condottieri della rivoluzione greca come Boçari, Xhavella, Kanari, Bolligasi, Bubulina ed altri ancora erano Albanesi. Molti Albanesi furono seguaci di Garibaldi nella sua missione di unificazione dell’Italia. La maggior parte di coloro che oggi* guidano la Grecia e la sua flotta sono Albanesi. Anche fra gli Italiani ci sono tante personalità, poeti, scrittori, che hanno origine albanese; della stessa origine è anche il Papa Clemente XI, senza dimenticare che Giuseppe Crispi, colui che guida la diplomazia italiana ai nostri giorni**, è originario del Paese delle Aquile.

Gli Albanesi dai loro avi hanno ereditato usi e costumi, l’onore e l’orgoglio. Hanno ereditato la considerazione per la parola data, che chiamano besa. Essi sono disposti a dare la loro vita per difendere la loro patria, la loro tribù, la loro famiglia, e addirittura per mantenere le promesse.

Anche se per via della lingua si dividono in Gheghi e in Toschi, gli Albanesi non si sentono diversi fra loro ma fieri della loro appartenenza nazionale.

I Gheghi sono insediati nel Nord Albania, invece i Toschi risiedono a sud. Il fiume Shkumbin, che scorre vicino alla città di Elbasan, funge da confine naturale fra di loro. I dialetti dei Gheghi e dei Toschi si differenziano solo nella pronuncia, negli accenti e in alcune frasi. In sostanza la lingua è la stessa: per questo si capiscono benissimo fra di loro. Esistono alcuni libri di prosa e di poesia in lingua albanese. La tematica prevalente è religiosa, e sono stati scritti 400-500 anni fa. Esistono anche alcune canzoni popolari del XV secolo. Gli Albanesi musulmani oggigiorno usano alcune parole e frasi arabe; invece quelli cristiani usano alcune parole e frasi greche. Anche dopo la conversione all’Islam degli Albanesi, sono apparsi scrittori e poeti che hanno composto opere di carattere religioso, che possiamo considerare letteratura; ma poiché gli autori di religione musulmana hanno scritto in lingua araba e gli autori di religione cristiana in lingua greca (e le loro opere sono piene di parole e frasi straniere), la letteratura nazionale albanese non ha avuto che un ruolo da comprimaria.

Fra i primi che hanno scritto sugli Albanesi, sulla loro origine storica e sulla lingua, e li hanno fatti conoscere in Europa, sono stati Georg von Hahn (il quale ha vissuto per un lungo periodo a Ioannina e Scutari come console dell’Austria), il famoso filologo Franz Bopp e Dora d’Istria, che è albanese e discende dai Gjikaj, i principi di Romania. Fra gli Albanesi d’Italia vanno, infine, citati Vincenzo Dorsa, Giuseppe Crispi, Demetrio Cammarda, Girolamo de Rada che, insieme ad altri, hanno scritto opere in lingua tedesca e italiana.

Liberamente tratto dal libro Kâmûs al-a’lâm dell’autore Sami Frashëri


* 1898, N.d.T.

** Ved. nota precedente.


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