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Un volo aereo di una compagnia fittizia (la Peninsula) con personale rigorosamente gay, contornato anche da assistenti di volo donne - messe ai margini - e soprattutto da un pilota bisessuale e un co-pilota ambiguo, deve rinunciare a viaggiare verso la meta iniziale del Messico e girare in tondo sulla città di Toledo, in attesa di conoscere il momento in cui poter effettuare un atterraggio di emergenza, dovuto al guasto che ha visto un "tacco" (termine tecnico) rimanere incastrato in uno dei carrelli dell'aereo durante il qui pro quo accaduto in fase di manutenzione pre-volo, a noi mostratoci nelle sequenze iniziali.
Prima ancora di esser commedia, la pellicola di Almodovar somiglia più a uno spettacolo di cabaret portato al cinema in cui personaggi esageratamente caratterizzati danno vita a situazioni assurde o addirittura grottesche che non trovano assolutamente limite ma anzi cercano il più delle volte di stupire aggrappandosi a una farsa elevata all'infinito, la quale concede loro libertà pienissima e priva di freni. A mettere i bastoni in mezzo alle ruote esiste comunque un nucleo di fondo che "Gli Amanti Passeggeri" non tenta mai di costruire: l'idea di fare del cabaret può anche starci ma se portata in un contesto diverso dal suo habitat naturale deve essere forzatamente adattata all'altro preso in prestito. Il regista spagnolo invece mette in piedi gag su gag, non lesinando sull'omosessualità, che probabilmente è il tema più adoperato e plasmato, ma non tralasciando ovviamente neppure il sesso, i costumi, la politica e qualche piccolo dramma seminato qua e là.
Eppure l’amalgama è inesistente, il filo narrativo slamato e il tocco di Almodovar assai sottotono, tanto da sussurrarci inconsciamente il messaggio di sfogo: "ci sono, eccomi, ma in questo momento sto in evidente affaticamento di idee e di ispirazione. In crisi, come il mio paese". L'ironia stemperatrice, utilissima nei suoi drammi, spalmata su tutta la linea di una pellicola come questa funziona poco. E' vero, a volte strappa sorrisi, spiazza, ma a vincere sono più i momenti in cui ci si annoia o si rimane storditi, specie quando si va a scendere in alcune trappole dell'eccessivo dove non ci si aspetta che un regista del suo calibro vada a tentare l'approccio.
"Gli Amanti Passeggeri" passano senza lasciare traccia quindi, come è giusto che sia d'altronde. Lo fanno velocemente, più velocemente di quanto a loro serve per scendere dall'aereo in avaria o di quanto si fermino sulla scena i gioiosi camei di Penelope Cruz, Antonio Banderas e Paz Vega. Una miscela eterogenea senza salvataggio alcuno, più facile da lasciarsi alle spalle, e che - soprattutto in Italia - rischia di vivere sotto l’ombra inquietante del cinepanettone che, tra l’altro, secondo alcuni potrebbe addirittura finire per sovrastarlo.
Ma questo sarebbe un destino troppo crudele da scagliare contro il povero Almodovar che, nervoso, prova a prendersela addirittura con il musical pur di rilanciare testardo con la sua sventurata idea di cabaret cinematografico. Tuttavia, ultimamente, è evidente che il regista di "Volver" non stia passando un luminoso periodo creativo per cui è bene sostenerlo e fargli sentire il nostro supporto, sconsigliandolo magari di dar forma ad altre storie come questa che non lo rappresentano e che sono qualitativamente lontane dal suo standard abituale.
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