Le autorità statunitensi, negli ultimi tempi, sono molto preoccupate per l’ondata inarrestabile di minori non accompagnati ,che attraversa clandestinamente il confine tra Messico e Stati Uniti.
In base alle statistiche pare che, dall’inizio dell’anno ad oggi, ma il dato è senz’altro destinato a crescere, siano in numero di circa 52.000 i bambini, tanto maschi che femmine, che sono emigrati per bisogno e necessità dalla loro terra.
E, nonostante i controlli, hanno potuto farlo in maniera irregolare con l’appoggio di persone prive di scrupolo,quasi certamente dietro irrisorio compenso alle rispettive famiglie e /o false promesse.
Loschi figuri della mala messicana, o comunque latino-americana e non solo, sono quelli che da questo traffico traggono ripetuti lucrosi profitti, trattandosi per gli acquirenti (adozioni illegali, prostituzione minorile, riduzione in schiavitù, traffico d’organi) di merce molto appetibile e , perciò, ben pagata.
Senza un impegno serio da parte della politica — continuano a ripetere gli esperti del problema — il numero dei transfughi è destinato a breve, inevitabilmente, a moltiplicarsi in progressione geometrica.
Come ugualmente lo è quello delle donne sole e/o con bambini al seguito, che è già a tutt’oggi di ben 39.000 unità.
E che rappresenta, al pari del precedente, un binomio delicatissimo.
E cioè donna indifesa più minore o, talora, addirittura più minori inermi.
Per fortuna, in contesti del genere, esistono anche delle positività.
E cioè i cosiddetti “angeli” dei confini.
Non si tratta, attenzione, di immaginifiche creature alate.
Le ali, loro, questi angeli, le hanno nel cuore, nella loro creatività costruttiva, nell’operosità indefessa.
E, soprattutto, grazie alla tenacia della fede,che hanno saputo coltivare e accrescere, non temono di esporsi ai pericoli, quando questi si presentano.
Si tratta di religiosi e religiose,di volontari e volontarie laiche, che nelle città, appunto ai confini tra Messico e Usa, si rendono disponibili a soccorrere uomini, donne e minori in caso di grave pericolo o, comunque, di necessità.
Pericolo e necessità, che qui stanno a significare condizioni disumane e abusi.
Qualche anno addietro,in uno dei tanti rientri periodici a casa,mi è capitato di avere l’opportunità di conoscere di persona uno di questi “angeli”.
Era ed è una suora missionaria della Consolata, il ramo femminile dell’Istituto , fondato a Torino agli inizi del secolo scorso, dal Beato Giuseppe Allamano.
Lei, la suora, da molti anni svolge il suo apostolato missionario negli Stati Uniti.
Il suo lavoro non di rado l’ha portata e la porta ancora oggi in territori di confine, dove è facilissimo imbattersi in migrantes disorientati e impauriti.
Migrantes di ogni età e sesso.
Ebbene, incontrarla e percepire dalle sue parole a pieno la complessità di un dramma che, per le distanze geografiche, quasi sempre ci sfiora appena , è stato un tutt’uno.
E non mi riferisco tanto alla rosa di episodi narrati, tutti ovviamente molto deprecabili.
Quanto alla tenerezza di lei profusa con generosità in situazione.
Alla sua garbata partecipazione emotiva.
Un condividere senza mai prevaricare, senza mai ferire.
Con la giusta delicatezza.
Da madre, appunto.
Non intendo fare certo l’elogio, non richiesto , di persone come la “mia” suora in quanto sarebbe meglio che le autorità, messicane e statunitensi, provvedessero semmai a che certe fughe e certi episodi criminali non si verificassero affatto.
Non posso, però, tacere del fatto che sono rimasta molto colpita dall’ accogliente disponibilità della donna.
Ho pensato subito che, in differenti situazioni di disagio, nell’incontro di una persona con un’altra persona, che è bisognosa di aiuto, Dio ci domanda sempre, di rendere all’altro ciò che Lui ha donato a noi in gratuità.
E mi sono venuti in mente i versi della poesia- preghiera di Tagore che recita così :
<< Dio che ha donato all’uomo tutti i fiori, li aspetta, come offerta, dalla mano dell’uomo.>>
La “mia” suora, lei,questo l’ha compreso da subito. Ha visto chiaro che il dono della vita lo meritiamo soltanto se l’offriamo. E, in particolare, se l’offriamo e lo spendiamo per i nostri fratelli meno fortunati.
Nell’attesa che in politica tra Usa e Messico le cose possano cambiare e in meglio, nulla vieta che potremmo anche noi fare la nostra piccola parte per rendere il mondo un po’ (più) migliore.
I migrantes messicani come i bambini siriani,costretti dalla guerra alla fuga lontano dal loro paese d’origine, o i piccoli dell’Africa sub sahariana, dove l’ inclemenza dei luoghi e del clima rende loro difficile l’esistenza oppure le ragazzine nigeriane, terrorizzate e plagiate dai fondamentalisti islamici, devono costituire per noi, che sappiamo di loro, semplicemente l’occasione per riflettere.
Occasioni o meglio sfide, quelle autentiche, che successivamente divengono il fare, non mancano mai.
Basta sapersi guardare intorno ,specie in tempi di nuove povertà.
Solo in questo modo, e anche a casa nostra, senza andare di necessità lontano, si arriva a coniugare assieme gratuità e conquista.
Conquista che è comunione di sé con l’altro e per l’altro.
Quella “ricetta”, che non può che essere vincente e che include i due ingredienti molto speciali di cui sopra (gratuità e conquista appunto), perché il seme, calato nella terra giusta, divenga poi, in finale, il frutto.
E, per giunta,il frutto al punto giusto di maturazione.
Non garantisco , tuttavia , le ali.
Quelle, mi sa, sono opera più complessa e di un “artigiano” piuttosto esigente.
Marianna Micheluzzi (Ukundimana)