Quelli che l’hanno conosciuto o ci hanno lavorato assieme ne hanno sottolineato la sensibilità e la generosità, sia umana che artistica, le doti di talent scout (Ron, gli Stadio, Luca Carboni, Samuele Bersani, Marta sui Tubi), la voglia di sperimentare, che non sempre ha avuto esiti fortunati, ma che è stata un tratto distintivo della sua lunghissima carriera. L’amore per il Sud e per il mare.
Non conosco la sua discografia completa, mi fermo ai pezzi più noti, quelli che in questi due giorni hanno inondato le televisioni e le radio. “Caruso”, la canzone dell’artista bolognese più cantata nel mondo, mi riporta a un’estate di circa venticinque anni fa, a un anniversario di matrimonio, un gelato, un pianobar e le lacrime d’emozione della donna che sentì che a lei, quella sera, era stata dedicata. Ho apprezzato istintivamente “4/3/1943”, anche per via della vicenda della censura in quell’Italia bacchettona che fingeva di scandalizzarsi perché “Gesù Bambino” era figlio di una ragazza madre e frequentava i “ladri e le puttane” del porto. A metà degli anni Novanta, fece da sigla – azzeccatissima – a un programma televisivo che ancora conservo nelle videocassette: “Combat Film”, serie di documentari realizzata con i video dei cineoperatori della seconda guerra mondiale, andata in onda su Rai Tre, a cura di Leonardo Valente e Roberto Olla.
La mie preferite sono “Piazza Grande”, biografia di un clochard, un “ultimo” autenticamente libero (“voglio morire in Piazza Grande/ tra i gatti che non han padrone come me”) e “Anna e Marco”, storia d’amore in cui è facile identificarsi (“ma dimmi tu dove sarà, dov’è la strada per le stelle”). Voglio però ricordare Dalla con “Se io fossi un angelo”, perché pure io penso che “se fossi un angelo non starei mai nelle processioni” e perché sono sempre stato dell’avviso che gli angeli “non li vedi nei cieli, ma tra gli uomini/ sono i più poveri e i più soli”. Angeli non eterei, bensì terreni, poco spirituali e molto umani. Non convenzionali, come Dalla: con la sigaretta in bocca e irriverenti, pronti a pisciare sulla testa dei guerrafondai. A tenere persino botta a Dio, rinfacciandogli sbagli e omissioni, pur continuando ad amarlo (“a modo mio”, però). Angeli somiglianti a quei preti che frequentano molto le strade del mondo e poco le sagrestie (da don Milani a don Gallo, a padre Alex Zanotelli, a tanti altri): la migliore tradizione di una Chiesa capace di vivere “nella” società e di sporcarsi le mani per contribuire a renderla migliore.