Gli anni Settanta non sono mai finiti

Creato il 15 settembre 2011 da Andreapomella

Rifletto spesso sui motivi per cui la letteratura italiana si è dimostrata incapace di fare i conti con la propria storia recente. Dagli anni Settanta in poi l’attitudine degli scrittori italiani ad elaborare la storia è stata inversamente proporzionale alla loro propensione a seguire di volta in volta nuove mode editoriali.

Al di là di pochi e isolati casi, per esempio, nessuno che abbia messo mano alla tragica epopea degli anni di piombo, un’epoca della nostra storia recente che, in astratto, avrebbe dovuto stimolare una produzione simile a quella che in Italia ebbe luogo alla fine della seconda guerra mondiale. E invece gli anni di piombo sono rimasti di pertinenza della storiografia, quanto alla letteratura essi rappresentano un enorme buco nero, un lutto troppo grande di cui nessuno riesce ancora a parlare. Le ragioni più immediate sono forse da ricercare nel grado di ideologizzazione che ancora nutre, direttamente o indirettamente, le posizioni di molti intellettuali attivi sull’attuale scena letteraria.

Superare il piano politico per mordere il muscolo vivo della questione sembra essere tuttora un proposito inattuabile, nonostante la distanza storica, nonostante le innumerevoli trasformazioni che i partiti politici italiani hanno subito negli ultimi trent’anni, nonostante il postmoderno, la fine delle ideologie e la globalizzazione. Il poco che si è visto è venuto da autori nati proprio nel decennio degli anni Settanta, e che quindi hanno assorbito quelle vicende come il latte materno, comprendendone compiutamente le circostanze soltanto in età adulta.

L’idea che mi sono fatto è che quegli anni non sono mai veramente finiti, che quella violenza è rimasta nell’aria come una polvere sottile che ci ostacola il respiro, che una costante nelle diverse generazioni di italiani che si sono susseguite è il dividersi tra destra e sinistra in una guerra civile latente che non ha nulla a che fare con una normale dialettica politica, e che la letteratura – in quanto specchio della realtà – non ha potuto far altro che registrare questa paralisi, questa apoplessia della storia.


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