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Gli antichi relitti sommersi

Creato il 08 settembre 2010 da Pierluigimontalbano
Gli antichi relitti sommersi
Nel Satyricon di Petronio viene descritto un naufragio: "...la tempesta, fedele esecutrice di ciò che il destino comanda, porta via tutto quel che resta alla nave; non vi sono più alberi, né timoni, né cordami, né remi: massa informe e desolata, il naviglio se ne va in balia delle onde. Subito accorsero dei pescatori su scafi leggeri in cerca di preda. Ma, quando videro che vi erano ancora persone vive e pronte a difendere i propri beni, la loro crudele avidità cedette a offerte di aiuto. Ed ecco udiamo uno strano mugolio, quasi un lamento di belva prigioniera, che usciva dalla cabina del magister. Ci lasciamo guidare da quel suono, e troviamo Eumolpo (figlio di Poseidone), seduto dinanzi a una pergamena immensa su cui andava accumulando versi su versi. Sì, pur con la morte alla gola quel pazzo aveva trovato il tempo di stendere un poema, e che razza di poema, dèi benigni! Addirittura sulla distruzione di Troia. Lo strappiamo di là che urla e protesta, gli gridiamo di non far follie. - No - strepita lui, furioso di essere stato interrotto - lasciatemi terminare la frase: sto facendo l'ultimo sforzo per finire!”
Se vele, sandali (relitto di Comacchio), panieri di vimini (Gelydonia, Ulu Burun, Marsala), mandorle (Kyrenia), grembiuli di cuoio (Comacchio), foglie d'olivo, canapa indiana (Marsala), nocciole [Albenga, Punta Crapazza (Lipari)], ramoscelli (Giens), paglia (Giannutri) ed altri materiali organici assai deperibili provengono da numerosi scavi archeologici sottomarini, non solo il forsennato poeta, ma anche l'epica pergamena stavano correndo il rischio di essere sepolti con lo scafo e magari di avere la possibilità di essere ritrovati dopo millenni.
Sebbene possa apparire un obiettivo assai limitante per la palese incompatibilità tra acqua salmastra, inchiostri e scritture, ritengo non privo d'interesse guardare alle testimonianze di scritti trasportati a bordo delle navi o che quotidianamente venivano redatti a bordo; testi di solito brevi, relativi più al mondo del commercio e del diritto, che, ovviamente, alla letteratura epica.
Tuttavia è certo che anche opere letterarie furono concepite in mare, come nel caso sopra menzionato nel Satyricon. Cicerone in persona ad esempio ci informa che l'opera “Topica” fu iniziata a bordo di una nave in navigazione dopo Velia e che nel percorso marittimo verso la Cilicia dopo Samo, il medesimo, divenuto governatore, modificò il testo dell'editto provinciale, che avrebbe dovuto pubblicare al momento del suo ingresso in provincia.
Le relative testimonianze archeologiche subacquee sono finora rare e tali sembrano essere destinate a restare, sino all'improbabile rinvenimento di una nave carica di libri, simile al relitto degli anni sessanta ubicato intorno ai cinquanta metri di profondità al largo della Tonnara di S. Vito Lo Capo, nei pressi di Palermo. Esso contiene numerose copie del Corano, che nel buio e nel fango della stiva hanno già superato diversi decenni di immersione nell'acqua salmastra.
In attesa di un evento di tal genere attingeremo alle testimonianze delle fonti antiche, che occasionalmente ci parlano di un commercio librario transmarino, come quello sollecitato da Platone che diede incarico di acquistare in Sicilia, per diecimila denari versati da Dione, le opere filosofiche di Filolao, introvabili in Grecia o quello attestato dalla presenza di libri a bordo delle navi che nella seconda metà del primo Millennio a.C. approdavano ad Alessandria.
L'esistenza infatti nella Biblioteca di Alessandria del fondo detto "delle navi" pare risalga a Tolomeo Filadelfo (285-246 a.C.), il quale aveva ordinato che venissero ricopiati da scrivani degli uffici doganali tutti i libri in transito e che gli originali fossero trattenuti per la Biblioteca ed ai viaggiatori venissero restituite soltanto le copie.
Ad esigenze di computo e documentazione si ricollega invece il più antico materiale scrittorio rinvenuto in scavi subacquei (Ulu Burun, in Turchia). Risale al XIV a.C. e dimostra la possibilità della conservazione sul fondo marino di reperti organici assai deperibili. Si tratta di una tavoletta cerata lignea con cerniere in avorio, che costituisce in assoluto una delle più antiche testimonianze dell'utilizzazione di questo tipo di supporto scrittorio. Purtroppo la cera della superficie scrittoria risulta quasi del tutto abrasa, evidenziando le lineole incrociate incise per favorire l'adesione della gomma al legno.
La composizione del carico dello straordinario relitto di Ulu Burun non solo trova riscontro nelle lettere di Tell Amarna, ma anche in raffigurazioni tombali egiziane coeve, che rappresentano l'arrivo di navi levantine in Egitto e dimostrano l'usuale impiego del dittico in questione per registrare i prodotti imbarcati. Oltre che per la trasmissione della corrispondenza, questo dovette essere uno dei più antichi usi della scrittura, soprattutto nel mondo palaziale.
Di grande interesse è valutare il ruolo esercitato dal commercio marittimo nella diffusione della scrittura, ma l'esame dei molteplici aspetti del problema, indurrebbe a superare ampiamente i limiti di tempo in questa sede definiti. Mi limiterò quindi a qualche cenno, maggiormente attinente all'angolazione prescelta: l'archeologia sottomarina.
La sorprendente assenza di volumina nei papiri micenei è stata già notata ed appare pressoché impossibile che segni in lineare B, oltre che su tavolette, non siano stati tracciati su papiro.
La capacità del fango o della sabbia del fondo di conservare reperti organici potrebbe offrire la prova mancante. Ancor più suggestivo è rilevare che la migrazione coloniaria tra il IX e l'VIII a.C. pare abbia richiesto la stesura scritta dei poemi omerici ed il trasporto per mare dei testi, utilizzati dagli esploratori che localizzavano nei siti estremi raggiunti, le imprese che descrivevano.
Una delle più accreditate ipotesi sull'origine della scrittura nel mondo Egeo vede le cretule impresse con simboli o nomi di consegnatari, di generi e quantità di prodotti forniti.
Tali cretule sarebbero state realizzate per render conto di derrate palaziali consegnate o affidate ad esibitori di validi contrassegni o addirittura di modelli miniaturistici, corrispondenti in numero e genere ai prodotti forniti da chi li custodiva per conto dell'autorità, che poteva così trasmettere i suoi simboli senza il continuo ricorso alla parola parlata.
È suggestivo notare che di recente è stata rinvenuta in Sicilia, in un contesto assai antico, una cretula sigillo con segni di "cordami che dovevano legare un contenitore di ignote caratteristiche" nel fossato neolitico di Stretto Partanna (Trapani).
Oggetti miniaturistici o calculi in terracotta per il computo (tokens), che precorrerebbero i segni impressi e i simboli successivamente tracciati sulla tavoletta d'argilla, furono nel mondo orientale talvolta contenuti in bolle sferiche d'argilla (bullae), che venivano spezzate per verifica del contenuto in caso di contestazione in merito ai segni tracciati o impressi sulla superficie esterna.
A queste origini si ricollega con ogni probabilità la forma a cuscinetto della tavoletta d'argilla, che talvolta conteneva un duplicato del tutto nascosto all'interno. Col medesimo principio, nonostante la grande distanza nel tempo e nello spazio, fu ideata la doppia scritturazione sigillata su tavolette lignee dei documenti dell'età greco romana.
Ma come tra percettori di imposte e mercanti per millenni sopravvisse la prassi della doppia scrittura, nonostante caratteri e materiali assai diversi, così da un mondo di analfabeti o semianalfabeti potevano giungere almeno sino all'età arcaica pratiche di computo mediante calculi, tacche e incisioni. Possiamo anche supporre la trasmissione di rudimentali messaggi mediante oggetti miniaturistici.
Reperti di questo tipo possono facilmente sfuggire negli scavi subacquei o essere non correttamente interpretati ed è realmente sorprendente che nessun relitto, nonostante la frequente presenza di pesi e bilance (Yassi Ada, Camarina, Giardini, Palud), abbia finora restituito una tavola per contare o abaco, che pur doveva essere un oggetto di frequente impiego nella pratica del commercio.

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