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Gli anziani oggi: un peso?

Creato il 04 aprile 2012 da Psychomer
by Arianna Motteran on aprile 4, 2012

Nel passato, la vecchiaia era sinonimo di saggezza e di esperienza. La persona con molti anni alle spalle, era chiamata “vecchio”,  in tono non dispregiativo, bensì elogiativo. L’immagine comune evocata era quella di un signore distinto, con pochi capelli canuti sul capo e una lunga barba bianca, un bastone e una moltitudine di ragazzini intenti ad ascoltare consigli, aneddoti e storie che lasciavano a bocca aperta. Ad oggi, la parola “vecchio” – sostituita dalla meno offensiva (?) “anziano” -  si porta appresso l’idea di una persona over 65, non più utile alla società industriale e produttiva. Questo ha comportato una visione negativa dell’età senile (Ranieri, 2002). Chi non produce, ma al contrario consuma, diventa un peso. Un peso per la società, un peso per le famiglie che devono occuparsi di loro. È palese che l’anziano sia un fardello, una patata bollente da passarsi, nel momento in cui i fratelli si ritrovano a chiedersi “Chi tiene la mamma?” e ognuno accampa valide scuse e motivazioni per essere escluso dalla “spartizione”. Ironicamente, si potrebbe dire che si finisce con il “giocarsela a dadi”, se e solo se, il posto-letto presso qualche casa di riposo costa troppo.

Il brutto è che in tutto questo iter, l’opinione dell’anziano – che dovrebbe essere di fondamentale importanza – non viene nemmeno chiesta o ascoltata.  A determinare la decisione sono lo spazio in casa, gli impegni, le responsabilità, la disponibilità. E gli anziani vengono sballottati di qua e di là, come se fossero oggetti.

Il paradosso è che dovrebbero essere i protagonisti di quest’era, visto che la durata media di vita – assieme alla speranza di vita – si allunga. Dovrebbero essere l’emblema di un tempo che dimostra la sua superiorità rispetto alle malattie. Invece, la vecchiaia è vista come qualcosa da allontanare o da sconfiggere. L’esempio è dato dalla corsa contro il tempo e verso le cliniche estetiche che, con bisturi, botox e strumenti vari, tolgono rughe e “fastiosissimi inestetismi della pelle” causati dall’avanzare dell’età.

Perché non apprezzare la vecchiaia? Perché non ridarle il prestigio perduto? Ci sono ancora “nonni” che possono raccontare storie, “nonne” che possono lavorare a maglia e insegnare a farlo, “signori” vestiti con grande eleganza che possono mostrarci uno charme e un fascino d’altri tempi che non passa mai di moda. E ancora, ci sono anziani che sanno usare il computer e che scoprono l’utilità, la comodità e l’attrattiva della tecnologia. Senza contare, le università del tempo libero e per la terza età, che dimostrano come sia possibile acculturarsi e formarsi anche al di fuori del periodo di scolarizzazione. Questi esempi propongono un’idea di anziano attivo, che si contrappone all’immagine negativa di “peso morto” o di soggetto passivo che ne fornisce la nostra società. Le parole di Rita Levi-Montalcini (2009), rilasciate durante un’intervista, ribadiscono questo concetto di anziano “capace”:

Ho perso un po’ la vista, molto l’udito. Alle conferenze non vedo le proiezioni e non sento bene. Ma penso più adesso di quando avevo vent’anni. Il corpo faccia quello che vuole. Io sono la mente.”

L’anziano, ai nostri giorni, dovrebbe essere considerato in questo modo. Dovrebbe essere rivalutato e riportato al centro della scena, non come un “corpo” da collocare in un’abitazione piuttosto che in un’altra, ma come una “mente” che invecchia, ma non muore. Anche quando, la piena capacità di ragionare cede il passo al deterioramento cognitivo o alla perdita dell’autosufficienza, ricordiamoci che abbiamo a che fare con persone. E soprattutto, ricordiamoci che quelle persone – di solito, i nostri cari – non sono un peso nel momento in cui accudiranno i nostri figli, mentre noi potremo tranquillamente recarci al lavoro o goderci il week-end. Saranno al contrario più che mai utili


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