Il Vello d'oro
Avevamo detto che il
drago che stava a guardia del Vello d’oro non si addormentava mai. Errore:
Medea sapeva come farlo addormentare. Dopo aver superato indenne le prove
terribili dei tori sputafiamme e dei guerrieri nati dai denti di serpente, il
nostro eroico Giasone si era trovato faccia a faccia con il drago che custodiva
il tesoro di Eete. Di sicuro nemmeno lui sarebbe riuscito nell’impresa, se
non fosse stato per Medea. La donna infatti gli procurò un particolare liquido che aveva
il potere, una volta versato negli occhi di qualsiasi creatura, di
addormentarla all’istante. Certo, l’eroe non poteva avvicinarsi di persona al
grosso mostro, ma trovò comunque un sistema efficace: cosparse un ramo di
ginepro di quel liquido speciale, e poi lo sporse gocciolante sopra gli occhi
della bestia. Non si sa esattamente come andarono le cose - certo è che ci
sembra molto strano che il dragone non si accorgesse di nulla -, ma di sicuro l’impresa
riuscì, perché in quattro e quattr’otto il drago cadde addormentato, e Giasone
staccò dall’albero quel premio tanto ambito: il mitico Vello d’oro, l'obiettivo di tutte le sue ricerche! Sollevandolo
per mostrarlo ai compagni, si accorse che il Vello emetteva bagliori, mentre
rifletteva sulla sua superficie ruvida la luce del sole.
Ed Eeete? Ovviamente
la prese malissimo, ma seppe un’altra volta dissimulare le sue vere intenzioni.
Invitò gli Argonauti ad un lauto banchetto, con l’intento segreto di dar fuoco nel
frattempo alla magica nave Argo. In quel momento, però, la dea Afrodite decise di intervenire, instillando nel sovrano un desiderio folle per la moglie Eurilite:
mentre i due si appartavano nelle loro stanze, Giasone e compagni fecero in
tempo a concludere il banchetto e a dirigersi alla nave, che ovviamente era ancora tutta
intera. Facevano parte del gruppo anche Medea con suo fratello, il piccolo
Absirto.
"Trascinato dalla corrente"
Quando le cose
sembravano fatte, nel bel mezzo della notte gli Argonauti si accorsero di avere
alle calcagna l’enorme nave di Eete. Il sovrano, adempiuto al suo dovere
coniugale, si era ripreso in tempo per accorgersi del tradimento. Gli ottanta rematori
facevano avanzare la nave a una velocità prodigiosa. Accortosi di non
potercela fare, Giasone all’improvviso ebbe un’idea. “Perché non uccidiamo tuo
fratello, Absirto, e non lo gettiamo fra le onde? Rallenteremmo la corsa di tuo
padre, che dovrebbe fermarsi a raccoglierne il corpo!”. Così ragionava Giasone,
ebbene sì. E Medea? Senza esitare un istante, si disse d’accordo. Anzi ebbe un'ulteriore idea, ancora più crudele: “Uccidiamolo, d'accordo, ma tagliamone il
cadavere in tante piccole parti, così che mio padre debba fermarsi più volte,
prima di riprendere l’inseguimento”. Si dice allora - ma forse è solo una
leggenda - che la nave Argo in quel preciso momento si mise a parlare e ad
inveire contro i due amanti, dicendo loro che sarebbero stati per sempre
maledetti fino a che Circe, la zia di Absirto e Medea, non li avesse purificati
con il suo perdono. In ogni caso, il delitto fu compiuto; i resti del corpo
galleggiarono sulle acque nere, mentre la voce del padre veniva udita in ogni
angolo del mare. Absirto, che in origine si chiamava Egialeo, venne chiamato
così per ricordare la sua fine crudele: Absirto infatti significa “trascinato
dalla corrente”: mai nome fu più appropriato di quello, purtroppo per lui.
Quando Circe li vide approdare alle sue coste, aveva già visto in un sogno quali erano stati i misfatti compiuti. Li accolse perciò con freddezza, e concesse loro il perdono solamente per il legame di sangue che la univa a Medea. Ma non lesinò loro i rimproveri e le accuse, promettendo alla coppia un futuro di dolore e morte. Come queste previsioni dovessero avverarsi, lo scopriremo in seguito. Per adesso lasciamoli veleggiare lontano, con addosso tutto il peso della colpa e del rimorso.