Gli Attila dei mari dal Ponte sullo Stretto a quello dei Sospiri

Creato il 23 maggio 2013 da Albertocapece

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Lo dico sempre che sono una donna fortunata: nata a Venezia, vivo a Roma, mi godo i cieli dell’una e il riverbero sui mosaici dell’altra, dalla prima ho imparato l’arte della cittadinanza che è fatta anche del sapersi sempre guardare intorno e stupirsi della bellezza, dalla seconda ho appreso la quieta, confortante convivenza con la storia, che  sbuca fuori dalle pietre come certe piante intrepide di Venezia che nascono tra i “masegni”, che ferma gli scavi, che insegna fatalismo, anche troppo, e paziente disincanto, anche quello, forse, eccessivo.

Ma sono al tempo stesso anche un’italiana molto sfortunata, perché queste, che sono le città più belle e speciali del mondo, lo sono anche in qualità di oggetto di oltraggi altrettanto speciali, di insulti sistematici, dell’offensivo esercizio di sopraffazione di irriducibili e spericolati acchiappa citrulli, sotto forma di amministratori, studiosi ripetenti e mecenati, che vogliono convincerci che sarà ancora una volta il mercato a salvare la bellezza, la cultura, la conoscenza e ad esso dobbiamo consegnarci fiduciosi e grati.

Sono gli stessi che sottopongono entrambe a dei test non solo allegorici, per controllare non solo fino a dove possono giungere con l’ingiuria, con la manomissione di identità e storia, ma anche per verificare e collaudare la nostra sopportazione o la nostra indifferenza agli affronti perpetrati dall’avidità, dal profitto dissipatore, dall’ignoranza. E se aumenta la nostra accondiscendenza, allora si può incrementare il sopruso, la prevaricazione ai danni dei molti e a beneficio di pochi.

La loro ultima performance, consumata nel teatro della Laguna, è spudorata e insultante per via della sua  proterva volontà di darci degli imbecilli, di beffeggiarci, di deriderci, noi popolo bambino, sprovveduto e ignavo, che si può menare per il naso, che tanto l’odorato è già compromesso dallo smog.

Un paio di giorni fa, due mesi dopo l’ intesa,  dieci compagnie (Gruppo Carnival con Costa e P&O, Msc, Royal Caribbean, Cunard, Seaburn Princess, P&O, Disney Cruise, Saga group, Crystal Line, Premier Cruise) hanno firmato con il sindaco Giorgio Orsoni e il presidente del Porto Paolo Costa il protocollo sulle emissioni dei carburanti. «Venice Blue Flag 2», accordo volontario con cui le compagnie di navigazione si sono “responsabilmente” impegnate  ad alimentare a   i loro motori dal momento dell’ingresso alle bocche di porto, con carburanti a contenuto di zolfo non superiore allo 0,1 per cento. Il Porto parla di «svolta», che avrà come risultato la creazione di una «Green zone» in laguna e la sensibile diminuzione delle quantità di emissioni inquinanti. «Il porto di Venezia è il più pulito in Europa», dice Costa, «siamo sette anni in anticipo rispetto alla normativa europea».

La storica “presa per il culo” insomma autorizza definitivamente il passaggio delle grandi navi, attraverso la città più preziosa e vulnerabile del mondo, purché non puzzino. Se si ripete l’incidente di Genova, se si replica quello della Costa Crociera, ci saranno distruzione e morte, ma coi bronchi e i polmoni integri.

D’altra parte, ripete il vasto fronte degli Attila via mare, dove non crescono più nemmeno le alghe dell’eutrofizzazione, le «crociere sono il motore dell’economia locale», come se qualcuno davvero potesse credere che le migliaia di galeotti dei viaggi organizzati, vomitati fuori per le calli e i campi, equipaggiati  anche con le bottigliette dell’acqua minerale, che comprano i souvenir nella nave ai vantaggiosi prezzi del duty free, impreparati a un città complicata come un inospitale labirinto, creino ricchezza, alimentino l’artigianato e le attività produttive locali, consumino sostenibilmente.

Come al solito dietro al patto scellerato si cela un ricatto, far ingoiare alla popolazione, ai “dissidenti”, a chi ha a cuore l’equilibrio delicatissimo della città e del suo “sistema”,  il boccone amaro e infausto delle grandi  navi “comunque”, incidere solo simbolicamente sul danno, per determinarne l’accettazione, la tolleranza, l’acquiescenza in nome del profitto. Eh si, perché come non sospettare un intento ricattatorio nell’unica “alternativa credibile” secondo l’Autorità portuale che consiste nel  mantenimento della Marittima, «struttura moderna e avveniristica» e lo scavo delittuoso del  nuovo canale Contorta che farebbe entrare le navi dalla bocca di porto di Malamocco senza passare davanti a San Marco. E faremmo bene a interrogarci anche sulle soluzioni preferite da altri attori locali che puntano su Marghera,   sul porto fuori della laguna,   a Punta Sabbioni, o davanti a Sant’Erasmo.

La verità è che le navi vanno tenute fuori dalla laguna, come d’altra parte prevedrebbe  il Piano di Assetto territoriale (Pat), appena approvato dal Consiglio comunale e già disatteso perfino da chi l’ha votato.  Ma è altrettanto vero che in una specie di coazione a ripetere viviamo sotto un regime che cerca le soluzioni solo nella cementificazione, nell’invadenza delle grandi opere, in interventi pesanti e onerosi, scelti perché nei loro interstizi, nelle loro crepe, si può annidare convenienza opaca, corruzione, guadagni facili, soprattutto quelli che derivano dalla madre di tutti gli interventi, quella più profittevole, prolungarne l’esecuzione, non realizzarne, nutrire l’affare degli studi progettuali senza progetto e senza piano economico, delle multe,  secondo quel sistema di governo imperante dal Ponte sullo Stretto al Ponte dei Sospiri .


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