Ma, un giorno, colpi sordi di piccone vengono a turbare il silenzio dei secoli: una luce abbagliante dardeggia improvvisa nella stanza, sfolgorando sull'oro e sugli smalti. Davanti agli occhi stupefatti degli intrusi, i dipinti, le suppellettili, i papiri narrano la grandezza dell'antico Egitto: solo il viso solenne del Faraone, liberato dalle bende che lo proteggevano, sembra celare, sotto le palpebre chiuse, il mistero di un mondo scomparso.
Cerchiamo di immaginarlo, l'enigmatico sovrano-dio, che gli scopritori hanno tratto dal sarcofago, nella sua reggia di 4000 anni fa, circondato di cortigiani ammantati di porpora e di donne dagli occhi bistrati e oblunghi. Cerchiamo di vederlo mentre passa tra la folla, alto e rigido sul cocchio, con lo sguardo perduto nel vuoto: ha sul capo mitra bianca e rossa, ornata del serpente ritorto, emblema della sua dignità, e in mano lo scettro ricurvo dei suoi avi. Intorno a lui si accalca il popolo di Tebe, quegli artigiani, operai e mercanti che le pitture tombali ci mostrano intenti al loro lavoro e di cui ormai, attraverso tanti documenti, conosciamo perfettamente vita e usanze.
Quattromila anni! La mente quasi si smarrisce in questa interminabile fuga di secoli; ma a quell'epoca l'Egitto era in pieno fulgore, e bisogna risalire a oltre seimila anni dall'epoca nostra per trovare le origini della sua civiltà. Durante questo periodo, ventisei dinastie di sovrani si avvicendarono sul trono: uomini caritatevoli o crudeli, regine ambiziose, letterati o guerrieri, ma tutti con quell'impronta regale sul volto, con quello sguardo triste e indifferente di esseri che il rango quasi divino escludeva dagli affetti e dalle passioni degli altri mortali. Tutti infatti li consideravano, ed essi stessi si ritenevano, discendenti degli dei che per primi avevano regnato sulla valle del Nilo: dal deserto libico fino alla Siria e all'Anatolia, fin dove cioè le armi egiziane avevano esteso l'impero, la loro parola era legge.
Oggi noi ne conosciamo i nomi, grazie soprattutto a un elenco che il sacerdote Manetone compilò trencento anni prima di Cristo: e ne leggiamo la storia e le opere, in quella meravigliosa scrittura geroglifica che il genio francese, Giovanni Francesco Champollion (1790- 1832) riuscì a decifrare dopo 20 secoli.
Di tutte le civiltà, i monumenti più duraturi sono i templi e le tombe. L'Egitto non fa eccezione alla regola: gli imponenti colonnati di Luxor, resti del santuario di Ammone, le muraglie diroccate di Tel-el-Amarna, le cripte della valle di Re, le Piramidi (le tombe più fastose che gli uomini abbiano mai costruito) sono oggi le sole testimonianze di quel gran rigoglio di vita, d'arte e di sapienza che fu l'impero dei Faraoni. Ma tremila anni fa il Nilo scorreva fra questi paesi verdissimi, imbrigliato e sfruttato da una rete magnidica di argini e di canali che regolavano il flusso delle piene periodiche, da cui dipendeva la prosperità del regno: diciassettemila città e villaggi fiorivano fra il Sudan e il Delta. I palazzi e i giardini delle quattro capitali, Thil, Memphis, Tebe, Sais, erano unici al mondo.
Ora la sabbia ha steso le sue onde sulle strade e le piazze dove un tempo brillavano le corazze dei guerrieri o risuonava lo strepito dei cocchi: curvo sulla sua millenaria fatica, il "fellah", discendente di quegli schiavi che a legioni morirono sotto la sferza per la la gloria dei Faraoni, scava la sua terra con un aratro identico a quello dei suoi padri. Come tutte le cose, anche la grandezza dell'Egitto ha avuto fine: resta, umile ed eterno protagonista, l'uomo.
Divisi in caste, gli Egizi erano quindi organizzati in modo che il lavoro di ciascuno cooperava al benessere di tutti. Fra la casta più elevata, quella dei sacerdoti, si sviluppò un grande interesse per le scienze esatte: geometria, aritmetica, astronomia. Dopo la casta dei guerrieri, ricca e potente quasi quanto quella dei sacerdoti, veniva il popolo che, sottomesso alle altre due caste non doveva mai dimenticare i suoi doveri, mentre poteva vantare ben pochi diritti. Esso lavorava la terra e pascolava il bestiame. Ma assai privilegiata doveva apparire la sua condizione se raffrontata a quella degli schiavi, disprezzati e costretti a fatiche massacranti, sotto la sferza che calava fulminea al primo accenno di stanchezza.
..e la storia continua >> Ittiti e Fenici
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