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Gli eroi imperfetti di Stefano Sgambati

Creato il 05 luglio 2014 da Diletti Riletti @DilettieRiletti
8/10 - BENVEGNù-GUAITOLI - Roma di notte

Scrivere è uno svelamento, è permettere alla penna di tracciare solchi da cui poi emergono verità, alla tastiera di essere pigiata e picchiare cruda e dire, dire sempre qualcosa di ulteriore rispetto a quello che vorresti.

Quando si parla di libri è difficile non dire qualcosa di sé, sebbene quei libri siano stati scritti, pensati, vissuti, sofferti da altri. È come se la lettura, per incantesimo, ti facesse appropriare di qualcosa che in origine non ti appartiene, e ciò che sei si salda indissolubile a ciò che apprendi. Gli eroi imperfetti di Stefano Sgambati è un libro di cui è difficilissimo parlare, la scelta è tra scriverne asetticamente o invece svelare qualcosa di ciò che il lettore è, nel bene o nel male, che sia piaciuto o meno, perché è un testo che ha l’incapacità di lasciare indifferenti. Arriverei a definirlo subdolo, perché ti si attacca addosso e non te ne accorgi, ma poi resta.

Quanto è difficile raccontare una vita che non sia straordinaria? Corrado è soddisfatto di condurre un’esistenza che non lascerà tracce, di essere un uomo di cui si perderà il ricordo non appena saranno morti coloro che lo hanno conosciuto, o forse anche prima. La sua routine, ugualmente scelta e capitata, lo rassicura e i giorni sempre uguali, i pensieri sempre netti lo tengono al riparo da ogni scatto e ogni turbamento. Non è così per sua moglie Carmen.

Ma poi qualcosa cambia tutto, un segreto, una rivelazione nel corso d’una cena, le parole di un uomo di mezz’età appena conosciuto, Gaspare, scuotono le esistenze comuni di Corrado e sua moglie costringendoli a interrogarsi, chiedere, decidere. Dal subire l’esistenza d’un tratto si trovano costretti a viverla. Il potere che gratifica Gaspare, quello di sconvolgere le esistenze altrui, non è limitato a questi estranei, ma anzi è più prepotente ancora con Irene, sua figlia. Irene è una donna problematica che ognuno di noi ha incontrato -o è stato- almeno una volta nella vita. Il suo senso di straniamento, la sua fragilità violenta, la sua incapacità di vivere una relazione sana e il suo desiderio/repulsione nei confronti del padre le impediscono di lasciarsi andare e avere una normale storia d’amore con il libraio Matteo. Matteo ci prova, tenta, cerca di aiutare Irene, di rivelare il segreto che forse avrebbe la forza di liberarla oppure di annientarla.

I punti di vista si alternano, la storia cammina senza evolvere o snaturarsi, chiusa nel quadrilatero irregolare del piazzale di Ponte Milvio, a Roma, eppure i giorni passano, e il dramma, invece che consumarsi, consuma i protagonisti. Come se al contempo nulla accadesse in questa apparente normalità eppure tutti fossero toccati e mai più uguali.

Mi chiedevo dunque quanto è difficile raccontare la normalità, la vita di quel genere di persone comunemente definite borghesi, che non hanno tanti soldi e non muoiono di fame, che non comprano la casa esattamente dove vorrebbero ma nemmeno troppo lontano da lì. Molto. Il rischio è grande, quello di sviare dal proposito e quindi approdare ad altro, ma non accade. Questi “eroi imperfetti” hanno il coraggio di continuare a coltivare la propria routine anche quando questa è sconvolta, che sia un segreto o uno errore di persona in un caso di cronaca nera a farlo. Il linguaggio è ricercato, nessuna parola arriva alla pagina per caso, e talvolta per questo il realismo delle cose subisce uno scollamento che credo sia voluto, ricercato. Un dramma borghese che dramma era e non è, una redenzione che non avviene, Irene che sopravvive ma sceglie di non salvarsi, Matteo che avrebbe voluto ma nulla può.

Ci sono passaggi in questo libro che sono per me impossibili da dimenticare: c’è Corrado che con una biro vuol disegnare il contorno di Carmen per riappropriarsene, che la ama senza clamore fino a quando non sa di incuterle timore; e c’è l’ultimo capitolo -di cui non vi dirò nulla e vorrei invece dirvi tutto- che salta fuori senza che ve lo aspettiate, e non si tratta d’un colpo di scena, di un finale ad effetto, ma solo di un ulteriore tassello fino ad allora celato sul coraggio di essere imperfetti, sbagliati, cattivi eppure normali.

Come mi è capitato più volte di dire, le mie più che recensioni sono racconti di esperienze di lettura: in questo caso, ho incontrato un’enorme difficoltà a decidere se parlare di questo libro, finito di leggere molto tempo fa. Gli eroi imperfetti, l’ho già detto, non lascia indifferenti né chi come me lo ha vissuto ancor più che amato, lo ha sentito scivolare dentro di sé dalle dita, decidendo poi di sostare, rimanere e sedimentarsi, né chi invece non lo ha apprezzato. Perché oltre all’indubbia bravura di Sgambati, alla sua lingua studiata, al suo amore per le parole che traspare da ogni riga, oltre alla mia idea che il lavoro condotto sia per l’ambientazione che per il linguaggio gli sia costato una grande fatica, questo racconto di uno spaccato della classe media tocca tutti. E un po’ di me è in Matteo, un po’ di me l’ho trovato in Irene, un po’ di me era in Corrado e, anche se non vorrei mai ammetterlo, in Gaspare. Sgambati racconta altri mentre in realtà parla di noi: di questa esistenza banale che conduciamo tutti e che -seppure sconvolta- inesorabile vede i giorni continuare a susseguirsi uguali, dell’assurda pretesa che abbiamo di sentirci straordinari.

E io ho fatto male al cane, io ho desiderato volare giù per non provare più niente, io ho trascorso inutili giornate uguali a quelle precedenti e a quelle successive. Un libro in cui quanto è successo prima ferisce il lettore ora, lo spinge a interrogarsi su questo vuoto che divora quando non vorrebbe farlo.

O almeno questo è accaduto a me.

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  Gli eroi imperfetti

Stefano Sgambati

Minimum Fax

279 pagg

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