Di Gianni Pardo il 14 ottobre | ore 18 : 12 PM
In questi giorni abbiamo avuto la dimostrazione che “il sangue non è acqua”, che le radici sono più forti dei rami e non ci si trasforma da comunisti in democratici nel giro di un ventennio.
La differenza fra i due atteggiamenti politici è questa: i comunisti sono convinti di essere in possesso dell’ideologia giusta al di là d’ogni dubbio e sono certi che essa è contrastata da forze malvagie e corrotte. Dunque è lecito imporre l’idea salvifica contro quella dannosa e immorale in qualunque modo: con la rivoluzione proletaria o con qualunque mezzo a disposizione.
Per i democratici il principio è opposto: ognuno ha la sua idea ma nessuno può avere la certezza metafisica di avere ragione mentre gli altri hanno torto. La conseguenza è che la maggioranza governa non perché ha ragione, ma perché ha più voti. E aspettando di prenderne il posto, va rispettata già solo per questo.
Questi principi non valgono per gli esponenti della sinistra italiana perché hanno conservato la mentalità comunista. L’altra fazione non è composta di rivali politici ma di nemici esistenziali da eliminare con qualunque mezzo. Senza preoccupazioni di lealtà o di rispetto del sistema democratico. E poiché il più letale rappresentante di un potere fondato sui voti “immorali” è Silvio Berlusconi, il primo dovere di ogni uomo di sinistra è provocarne la caduta e la fine politica. Anche con la calunnia, anche approfittando dell’aiuto di magistrati faziosi o applaudendo chi gli tira pezzi di marmo in faccia. Ché se poi qualcuno lo ammazzasse, a sinistra deprecherebbero il fatto per la facciata ma in privato stapperebbero centinaia di bottiglie di spumante. Del resto, in Toscana non c’era chi proponeva di elevare un monumento all’anarchico Bresci, quello che assassinò Umberto I?
Le due prove più recenti di questo atteggiamento ai limiti della vita civile sono state la votazione che ha fatto respingere la legge sul Rendiconto dello Stato e quella di oggi sulla fiducia al governo. Nella prima il radicale Giachetti ha richiesto alla Presidenza della Camera un’ora di tempo per parlare e dopo che molti deputati della maggioranza erano usciti per sgranchirsi le gambe ha rinunciato al tempo ottenuto, ha richiesto l’immediata votazione e, prima che i deputati della maggioranza avessero il tempo di rientrare, ha ottenuto che il governo “andasse sotto”. Con conseguente patatrac istituzionale. Quella legge è infatti ben poco opinabile – perché si tratta di bilancio consuntivo e i numeri sono quelli che sono – ma formalmente il suo respingimento comporta un dubbio sulla fiducia al governo.
Giachetti si è praticamente vantato della sua mala azione sulla Stampa (Nota 1, ci scusiamo per l’autocitazione) e tuttavia non ha detto di essere stato incoraggiato a compierla dai dirigenti radicali: al contrario ha parlato del plauso di Pierluigi Bersani e della pavida acquiescenza di Franceschini. Questi signori non si sono accorti che in Parlamento siedono “deputati”, cioè mandatari del popolo sovrano, di cui devono esprimere la volontà. Impedirgli di farlo con un trucco è solo tecnicamente meno grave che sparargli perché ambedue i sistemi – in quanto tendono ad ottenere un risultato non conforme alla volontà del popolo – sono antidemocratici.
Oggi questo deprecabile atteggiamento ha dato una seconda, clamorosa dimostrazione di sé. Per contrastare il probabile voto di fiducia la sinistra non ha sperato di avere più voti della maggioranza, ha puramente e semplicemente cercato di impedire che si votasse: facendo mancare il numero legale. La giustificazione è quella dei comunisti: questi che stanno al governo, anche se hanno la maggioranza, sono dei delinquenti, degli oppressori, dei nemici del popolo e noi dobbiamo infliggergli qualunque male riusciremo ad escogitare. Se il popolo è tanto stupido da averli eletti, noi lo difenderemo persino contro se stesso. Che il sistema adottato sia morale o immorale, democratico o antidemocratico, non importa. Noi abbiamo ragione, checché facciamo, e loro hanno torto, checché facciano.
Ma stavolta i radicali si sono ricordati che i democratici prevalgono col voto, non con gli sgambetti, e per questo (anche se alla fine si sono dimostrati ininfluenti) hanno deciso di non far mancare il numero legale. I cinque deputati si sono comportati da democratici e per questo Rosy Bindi ha preso le distanze da loro definendoli, da quella gentildonna che è, “stronzi”. Eh sì, i democratici sono cretini. Basti dire che non si comporterebbero mai come certi esponenti del Pd.
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(1)http://www.legnostorto.com/index.php?option=com_content&task=view&id=33010&Itemid=26