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“Gli incendiati” di Antonio Moresco

Creato il 10 gennaio 2011 da Abo

“Gli incendiati” di Antonio Moresco“Gli incendiati” di Antonio Moresco
Gli incendiati
Antonio Moresco, 2010
Mondadori, 2010
182 pagine, euro 18,50

Sprofondato fino al collo in un grigio nichilismo, durante un’estate torrida un uomo senza nome si mette in viaggio. Prova disgusto per sé, prova disgusto per tutto. Parte senza avere una meta precisa, e si ritrova là dove l’umanità è più chiassosa: l’albergo di una località balneare.
Si aggira da solo, stordito dal caldo e da tutta la carne nuda che affolla la spiaggia, si imbatte in piccoli focolai che consumano la vegetazione secca.
Poi, una notte, il fuoco si espande e arriva a lambire l’albergo.
L’uomo cerca rifugio sugli scogli a picco sul mare, ed ecco l’incontro decisivo. Una giovane donna di bell’aspetto gli si avvicina, sorride mettendo in mostra denti d’oro e gli sussurra Vuoi bruciare con me? Poi scompare.
La ragazza diventa un’ossessione, un rovello che verrà premiato. Tornati alla città di origine i due si rincontrano, e si trovano invischiati in un destino che li vede uniti e inseparabili.

Confesso che ho scelto di leggere Gli incendiati come banco di prova. Ho sentito magnificare Canti del caos, e non avendo mai letto nulla di Moresco volevo tentare di dare una sbirciatina all’autore prima di dedicarmi alle oltre 1000 pagine dei Canti. Le prime pagine degli Incendiati mi hanno conquistato: mi piaceva l’enigmatica figura del protagonista, trovavo seducente la scrittura contorta di Moresco, quel suo continuo riferirsi alla carne. Carne come desiderio e carne come tessuto, eros e tanathos, un groviglio di pulsioni da far girare la testa.
Procedendo con la lettura, le cose sono purtroppo cambiate.
Lo stile ha iniziato a sembrarmi monotono, principalmente a causa delle ripetizioni: il sesso del protagonista è sempre sproporzionato per il desiderio, la pelle della protagonista è sempre bianca, i suoi capezzoli satinati, la bocca di carne e oro, le mani e i piedi infantili; e i due personaggi agiscono per lo più irresistibilmente.
Immagino si tratti di una scelta stilistica, che Moresco abbia considerato la ripetizione come una scorciatoia per l’ossessione. Peccato sia la stessa strada che conduce anche alle paludi della noia, che a lungo andare lo stile non sia più capace di sorprendere. Quello all’inizio che mi era parso avvincente è diventato abitudine, insomma.
E andando avanti non è solo questo aspetto linguistico ad avermi un po’ deluso. Anche la storia mi è sembrata confusa e poco coesa: si parte con lo spleen di un personaggio che ricorda il Mersault di Camus, si vira bruscamente verso scene da gangster story, si approda a un’atmosfera grottesco/decadente.
Arrivato a questo punto, circa a un terzo del romanzo, mi sono illuso di essere giunto al suo fulcro: la villa del cacciatore di schiavi, dove tra cocaina e pasti luculliani giovani donne si offrono a viscidi vecchi, in un’orgia di sperma e materiale fecale, sembrava esplicitare quanto già annunciato nelle prime pagine:

Il paese dove vivevo era fottuto, tutto il mondo era fottuto. C’erano solo delle strutture che lottavano le une contro le altre per succhiare ciò che restava del midollo del mondo. Tutta la vita era sotto la cappa della morte. Uomini e donne perpetuavano la menzogna dell’amore. Andavano in giro inalberando i vessilli dei loro volti morti. Sbadigliavano esageratamente, per strada, guardare dentro le loro bocche spalancate era come affacciarsi a una latrina piena di merda morta.

Pensavo insomma che Gli incendiati si risolvesse in una critica alle lordure della moderna schiavitù, quella della prostituzione in cambio di fama, carriera, poltrona. Ciarpame senza pudore, volendo citare la nostra attualità. Ho pensato che il riferimento all’oggi fosse un po’ troppo svelato, palese, ma che fosse comunque il punto di arrivo.
Invece Moresco opera un’ennesimo cambio di rotta, il più brusco di tutti, e porta i protagonisti in viaggio attraverso l’Europa dell’est, nel cuore di una notte senza fine e di una guerra in cui un esercito di morti si batte contro un’esercito di vivi.
Non so, e lo dico senza alcuna ironia, se Moresco faccia una letteratura troppo alta per il mio grado di comprensione, se morti e vivi simboleggino qualche categoria che mi è sfuggita, non so come avrei dovuto intendere la conclusione del libro.
Giudico quindi sulla base delle mie capacità: Gli incendiati mi è sembrato un po’ raffazzonato, creatura ibrida senza un cervello che la guidi, un Frankenstein di generi che procede a tentoni.
Ho intravisto alcuni sprazzi di ottima scrittura (nonostante le ripetizioni di cui sopra) ma soffocati da una serie di difetti che rendono il romanzo, almeno per i miei standard, lettura tutt’altro che memorabile.
Il progetto di leggere Canti del caos non è comunque abbandonato; spero però si riveli più coerente di questo.

Per completezza di informazione, aggiungo un paio di link a recensioni che hanno lodato Gli incendiati con irrefrenabile entusiasmo.
Qui Massimiliano Parente su il Giornale.
Qui Teo Lorini su Pulp Libri (via Nazione Indiana).

Pro:
- La prima parte mi è sembrata la più riuscita, l’unica che mi abbia in qualche modo coinvolto.

Contro:
- Nessun collegamento tra le diverse parti del romanzo, accostate ma non saldate tra loro.
- Linguaggio a lungo andare monotono.

La citazione:
«Ci sarà bene un punto, nell’apparato digerente dei neonati, dove il latte si trasforma in merda… Bene, io, in questo mondo, sono esattamente quel punto!»


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