Milano, libreria Open: l’Ultima riga incontra lo scrittore mantovano Antonio Moresco, firma di svariate opere narrative, teatrali e saggistiche.
La sua produzione letteraria ruota attorno alla monumentale trilogia dal titolo ‘L’increato’, comprendente’Gli esordi’, ‘Canti del caos’ e, di recente pubblicazione, ‘Gli increati’ ( i primi due riediti, rispettivamente, nel 2011 e nel 2009 da Mondadori e l’ultimo approdato in libreria per merito della stessa casa editrice).
‘Gli increati’: culmine di un progetto narrativo protrattosi per trent’anni, accompagna il lettore in un ultramondo caratterizzato dallo stravolgimento degli orizzonti culturali, economici, storici, filosofici propri della nostra concezione esistenziale. Un romanzo capace di travolgere le barriere di vita, morte, vita dopo la morte e immortalità, coinvolgendo chi vi si abbandona in una esperienza tanto vertiginosa quanto affascinante.
Abbiamo incontrato l’autore per farci raccontare qualcosa di più sui contenuti di quest’opera.
Nel romanzo si riscontrano molte domande senza risposta; ritieni che la letteratura d’oggi debba interrogare o piuttosto fornire risposte?
Il lettore deve avere un ruolo creativo nella lettura. E’ una avventura che si fa assieme.
Qualche mia riposta vertiginosa nella narrazione c’è, ma le domande aprono un mondo, sono un fondamentale strumento euristico per i bambini quanto per gli adulti. Al contrario, le risposte superficiali e consolatorie chiudono l’orizzonte esplorativo.
Tra i temi centrali emergono i limiti spazio-temporali che scandiscono l’esistenza di ciascuno di noi: esiste un modo per uscirne?
Spazio e tempo sono convenzioni che ci siamo imposti per meglio condurre la nostra vita. Il romanzo mira a ‘terremotare’ tale rigido schema ed aprire l’orizzonte del possibile sul piano economico, politico, dell’inconscio, della selezione naturale…
La letteratura, con mezzi propri da quelli delle scienze, può spingersi ben oltre i limiti della ragione, le ‘colonne d’Ercole’ della nostra mente, soddisfando l’umana necessità di indagare la realtà circostante.
Io stesso quando scrivo sono più intelligente, ardito, meno precognitivo: spero che le riflessioni maturate nel corso di trentadue anni e confluite in questo libro vengano prese sul serio -e non come un semplice paradosso o gioco letterario- da chi si occupa di svariate discipline, dalla scienza alla musica.
Altro tema dominante è il legame vita-morte…
Ho trattato la morte senza paura, non me ne sono lasciato annichilire, mosso dalla volontà di abbracciare la vita. Prendo di petto l’ ancestrale paura umana – sulla quale si sono fondate istituzioni secolari- di un comune destino nei secoli combattuto con l’illusione di potervisi sottrarre.
Il mio scopo è quello di affondare in questo tabù e rendere conciliabili le due dimensioni esistenziali.
Se non temiamo la morte siamo liberi, anche se al di fuori c’è l’ignoto.
Proviamoci.
Credi che l’incapacità di approcciarsi alla morte sia legata al timore del dolore?
Entrambi spaventano, attanagliano l’uomo e trasformano la vita in una sorta di lunga morte. Credo che la criminalizzazione e la colpevolizzazione della sofferenza proprie di molte culture ne siano tra le principali cause.
I progressi scientifici ci hanno permesso di allungare la vita, avvicinandoci al mito dell’immortalità. Ma ha senso affrontare 40-50 anni di vecchiaia?
Non credo. Del resto, per quanto sofisticati, i nostri palliativi non possono esimersi dall’universale dinamica esistenziale.
Nel libro la figura degli immortali rappresenta proprio la sconfitta sulle cellule dell’invecchiamento: affronto il mito di questa epoca, rovesciando il paradigma e avanzando ipotesi nuove.
Come si porta avanti un progetto narrativo di 33 anni e come si lega questo libro ai precedenti?
È stato il mio modo di dare sfogo ad una esigenza protrattasi a lungo e concretizzatasi nella terza esperienza della mia vita, quella letteraria, dopo il collegio religioso e la politica. È stata una vera e propria avventura per me e per il lettore.
Dopo ‘Esordi’, primo romanzo della trilogia, ho visto in ‘Canti del caos’ uno sviluppo naturale, approdato ad un pieno compimento grazie a ‘Gli increati’, frutto di un cammino graduale e ragionato.
Un autore si deve preoccupare di come il libro possa essere accolto dai lettori?
Avere rispetto per il lettore vuol dire dargli il meglio, il più, non il meno.
Ho scritto anche libri ‘piccoli’ e favole per bimbi: quando ho bisogno di una ‘effusione’ veloce lo faccio.
Altre volte necessito di una rincorsa narrativa più lunga.
Spesso sono stato tacciato di non avere in mente un preciso target di lettore, ma una persona non può essere ridotta ad un target! Il lettore ha una grande varietà di sfaccettature dentro; scrivendo ciò che realmente sento, cerco di penetrare emozioni profonde nelle quali ci si possa riconoscere. Voglio andare oltre la superficie, gli stereotipi di lettore uomo e donna, e credo di rispettare di più il lettore se mi sbilancio e corro anch’io un rischio.
Del resto, desidero pubblicare la trilogia sotto un unico titolo, “L’ increato”: una sfida editoriale, certo, ma che non mi spaventa; non voglio volare basso e anche la gente ha bisogno di puntare in alto!
La potenziale distanza del pubblico di lettori genera sicuramente tensione e sofferenza, la stessa condivisa da attori, musicisti o pittori che desiderano fecondare con la propria arte, affermando qualcosa di profondo sulla vita e sul mondo. Tuttavia non sono disposto ad arrendermi alle dinamiche di successo che contraddistinguono anche il mondo editoriale.
Cosa ti piace leggere?
Quando ho iniziato a scrivere, attorno ai trent’anni, ho parallelamente scoperto l’immenso piacere della lettura.
Tra i miei preferiti trova sicuramente spazio ‘L’Iliade’ – e non ‘L’Odissea’, benché la nostra cultura sia fondata su di essa- perché la guerra che vi si ritrova non nasconde le sofferenze proprie della vita, oltre che per la straziante figura di Achille, uomo e dio; e poi Dante, Leopardi, Melville, Dostoevskij, Balzac, Hugo, Kafka, Cervantes (e il suo ‘sfondare la vita’, insegnandoci come realtà e immaginazione non siano separate ma intrinsecamente connesse!). Vi ritorno spesso.
Ultimamente mi dedico anche ai romanzi orientali: ad esempio ‘Il principe splendente’ di Murasaki, la cui narrazione procede per allargamenti e compresenza di cose (e non per nessi di causa-effetto, tipicamente occidentali).
Nelle critiche letterarie sei spesso accostato a Dante…
E uno dei miei amori assoluti, a partire dalla ‘Vita nuova’, in cui estende la dimensione dell’amore, passando per ‘Le Rime’ o libri teorici quali il ‘De Monarchia’, fino all’opera capitale, ‘La Divina Commedia’, riferimento naturale per il tema vita-morte.
Il poeta irrompe nella rigida visione tolemaica con una visione caduca della vita e dell’universo.
Io considero il mio libro un ‘al di là’: ho seguito la mia strada, toccando temi simili come l’amore, una sorta di cruna tra i diversi passaggi narrativi nonché motore di sviluppo della consapevolezza che esista qualcosa di più vasto.
La ripetitività ossessiva del tuo stile rispecchia più una personale necessità o la volontà di far capire al lettore i concetti che vuoi trasmettere?
Un po’ entrambi: non solo ripeto i concetti per spiegarmi meglio ma li scopro via via in modo diverso.
Sono stato accusato di riproporre le frasi come fossero mantra; ma nella musica nessuno si permette di tacciare di ripetizione! E’ il ripetersi mai identico di note che allarga la dimensione sonora.
Nell’iterazione mai identica c’è un accumulo spirituale, una sorta di trance necessaria ad estendere l’orizzonte ed, al contempo, a ritornare alla concezione omerica di arti unite, di compenetrazione di verso, musicalità, prosa, elegia, generi, pensieri….
Chi legge può esserne colpito: è il sogno che anima il mio modo di scrivere.
Antonio Moresco (Mantova, 30 ottobre 1947) è uno scrittore italiano, autore di opere narrative, teatrali e saggistiche. Dopo un’infanzia segnata dall’esperienza del collegio religioso e una lunga militanza nella sinistra extraparlamentare (entrambe narrate in forma trasfigurata nelle prime due parti del romanzo ‘Gli esordi’), verso la fine degli anni Settanta ha intrapreso un sofferto apprendistato letterario, protrattosi per quindici anni e terminato con la pubblicazione nel 1993 dei tre racconti di ‘Clandestinità’. Nel 1995 pubblica il romanzo breve ‘La cipolla’, che insieme al precedente e a tre racconti inediti sarà ripubblicato anni dopo nel volume ‘Il combattimento’ (2012). Tra gli altri scritti principali si ricordano anche la raccolta di lettere non spedite ‘Lettere a nessuno’ (1997, attestante i suoi difficili rapporti con l’industria letteraria), la breve biografia ‘Zio Demostene’ (2005, ampliata e ripubblicata con il titolo ‘I randagi’) e il romanzo ‘Gli incendiati’(2010), affine per contenuti e stile ai romanzi della trilogia. Con ‘Le favole della Maria’(2007) ha vinto il Premio Andersen 2008 per la sezione ‘Miglior libro 6/9 anni’. Nel 2013 pubblica ‘La lucina’, a cui segue nel 2014 ‘Fiaba d’amore’.
Alla prossima lettura!
Monica