Alfred Kubin (1877-1959), pittore illustratore e scrittore, possiede una vista speciale in grado di materializzare i suoi incubi a occhi aperti, le sue spettrali visioni, l’umanità travolta dal destino e dalla follia. La sua opera, nella quale la morte e gli scenari apocalittici si rendono oscuri protagonisti, rientra nella corrente simbolista, e precorre per molti versi l’espressionismo.
Predilige il disegno a inchiostro e l’acquarello alla pittura a olio, strumenti che l’artista ritiene ideali per evocare la sua cupa visione del mondo, i fantasmi che ci circondano, la cecità dell’uomo che porta all’isteria, alla paura, alla dissoluzione. Linee potenti da cui emergono spettri, fantasie, allucinazioni che allungano le braccia verso l’osservatore, trascinandolo in una nuova visione delle cose, oltre le convenzioni della realtà, come Kubin stesso definisce il suo intento è “mirare le fauci di ciò che è vivo ed elementare”, davanti al quale spesso temiamo gli occhi chiusi. L’orrore può essere invisibile, o meglio, inguardabile.
Lo specchio di Kubin è una esperienza che porta molto lontano, guardarci dentro significa assistere a una profezia artistica, immergersi nell’essenza delle cose, nel mondo deformato dalle esperienze personali e dalla natura malinconica dell’artista. Lo spirito dell’artista è vivo in ogni opera e si anima con forza, sussurra all’orecchio i suoi incubi grotteschi e la morbosità per il macabro. Un vortice di disperazione avvolge continuamente le visioni di Kubin, sembra non ci sia scampo per l’uomo, la materia che ne sorge è solo violenza, efferatezza, vizio, mostri e spettri che camminano sulla speranza, calpestandola, lasciandoci solo sperare che sia davvero imminente, la fine del mondo.
Ma l’ispirazione dell’artista si riversa anche in altri ambiti artistici, come quello letterario, scrive vari libri, tra cui il più noto è L’altra parte (Die Andere Seite, pubblicato anche in Italia da Adelphi) pubblicato nel 1909. Alcuni ritengono quest’opera come il primo esempio di letteratura espressionista. Questo romanzo è in realtà una vera e propria catarsi personale, il libro sostituisce la pittura e i disegni per una confessione liberatoria, ancora una volta eventi personali materializzano crisi e nello stesso tempo creatività nell’opera di Kubin. Ma c’è di più, tra le pagine aleggiano domande fondamentali: coscienza, ideale, destino e libertà e non mancano acute analisi della società dell’epoca.
L’ altra parte è il racconto di una città immaginaria dell’Asia centrale, Perla, capitale del Regno del Sogno e retta da un signore assoluto, Claus Patera, che intende costruire una città ideale. Questo Regno del Sogno sembra essere il "rifugio perfetto" per gli artisti e gli animi sensibili delusi dalle brutture della società moderna. Il protagonista, l’io narrante, si recherà a Perla per sfuggire dalle sue disillusioni, col miraggio di una rivincita nei confronti della cattiva sorte. Ma sarà catapultato in una dimensioni di incubo, tra nebbie che avvolgono oggetti fatiscenti provenienti dal mondo reale, e assisterà alla inevitabile decadenza, rovina e distruzione. Facile tradurre le dirette allegorie verso la dissoluzione dell’impero Austro-Ungarico e i presagi del destino dei totalitarismi. Il romanzo è in fondo un grande disegno narrato, Kubin lo illustrerà con 52 disegni che si legano indissolubilmente alla componente narrativa e surreale dell’opera.
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Gli incubi a occhi aperti di Alfred Kubin
Creato il 17 novembre 2011 da Alessandro Manzetti @amanzettiPossono interessarti anche questi articoli :
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