Il periodo storico nel quale si svolge il mio romanzo è probabilmente stato uno dei più fecondi per l'umanità nella creazione di menti pensanti, se si tengono in considerazione i dovuti distinguo e le difficoltà del tempo. La società ellenica, in particolare, stava esprimendo i frutti più avanzati del pensiero occidentale per i seguenti diciotto secoli: i filosofi.
Tra tutti, Socrate aveva segnato un punto di svolta così forte e profondo col passato, che molta didattica separa la filosofia greca in pre- e post-socratici, in maniera poco diversa da quanto si fa con le date a.C. e d.C.
Di Socrate, che non scrisse nulla di proprio pugno, sappiamo ciò che hanno raccontato i suoi allievi, Platone il primo d'essi.
I critici hanno questionato spesso la fedeltà di Platone agli insegnamenti del maestro: siamo sicuri che quanto l'allievo ha attribuito a Socrate non fosse in realtà farina del suo proprio sacco? A distanza di duemilaquattrocento anni ritengo la cosa irrilevante: è al contrario meraviglioso che all'epoca qualcuno potesse esprimere le idee che troviamo nel "Simposio".
Ho letto il "Simposio" durante una vacanza estiva, probabilmente il modo migliore di leggere a proposito della migliore società di Atene e dei discorsi che si tenevano nelle sue serate mondane, con Alcibiade sbronzo che tentava di adescare Socrate (sic!), ma ciò che più mi ha colpito è stato il ruolo che Platone attribuisce a Diotima.
Questa donna, che viene presentata come una sacerdotessa di qualche tipo giacché, nelle parole di Platone, prima della peste, fece fare agli Ateniesi quei sacrifici che ritardarono di dieci anni l'epidemia, diventa colei che addirittura educa Socrate, il maestro di Platone, a proposito di Eros.
È quanto meno singolare che Platone, che non ha certo evitato di aderire allo stereotipo maschilista vigente nella società greca quando, nel "Fedone", ha rimproverato Santippe che piangeva il marito prossimo alla morte per le sue parole "tipicamente femminili", faccia esprimere le idee che riporterò da una donna.
È singolare o è l'unico modo per esprimere quelle idee: solo una donna avrebbe potuto esprimere simili idee ed essere tollerata. Magari Platone non voleva che a carico del maestro venissero mosse altre accuse, magari quanto riportato è tutto vero, magari è da riconsiderare completamente il ruolo della donna nella società ateniese. Francamente, tutto ciò importa assai meno delle idee espresse da Diotima.
Senza indugio, le riporto.
[...]
Ecco il discorso sull'Eros che ho ascoltato un giorno da una donna di Mantinea, Diotima, molto competente su questo come su tanti altri argomenti. Fu lei che una volta, prima della peste, fece fare agli Ateniesi quei sacrifici che ritardarono di dieci anni l'epidemia. Proprio lei mi ha fatto capire molte cose su Eros.
Adesso cercherò di fare del mio meglio per riportarvi le sue parole, partendo da tutto quello su cui Agatone ed io ci siamo trovati d'accordo. Come tu stesso hai detto, Agatone, bisogna innanzitutto chiarire la natura dell'Eros, i suoi attributi e le sue azioni. Forse la cosa più semplice è seguire nella mia esposizione lo stesso ordine che seguì la straniera nell'esame che mi fece. Io, infatti, le rispondevo un po' come adesso ha fatto Agatone con me: io dichiaravo che Eros è un grande dio e che ama le cose belle. Lei mi dimostrava che ero in errore con le stesse argomentazioni di cui mi sono servito discutendo con Agatone: Diotima diceva che Eros non è né bello, per usare le mie parole, né buono. E io le dicevo:
"Ma come Diotima? allora Eros è cattivo e brutto?"
"Che dici? Questa è una bestemmia! - mi rispose - Credi forse che tutto ciò che non è bello debba essere per forza brutto?"
"Ma certo!"
"E perché mai? Chi non è sapiente deve per forza essere ignorante? Non ti sei mai accorto che c'è una via di mezzo tra la sapienza e l'ignoranza?"
"E qual è?"
"Avere un'opinione giusta, senza però saperla giustificare. Questo non è vero sapere: come posso parlare di scienza, se non so dimostrare che è vero quello che penso? Ma non è neppure piena ignoranza, perché per caso la mia opinione potrebbe corrispondere ai fatti. L'opinione giusta è quindi, suppongo, simile a quel che dicevo: sta a metà strada tra la piena conoscenza e l'ignoranza."
"È vero", risposi.
"Dunque chi non è bello non per questo è per forza brutto, né chi non è buono deve essere cattivo. E così è per l'Eros: poiché tu sei d'accordo con me che non può essere né buono né bello, non devi per questo credere che sia necessariamente cattivo e brutto. Eros - così mi disse Diotima - è a metà tra questi estremi."
"Però - ripresi io - tutti concordano nel pensare che Eros sia un dio potente."
"Dicendo tutti, parli degli ignoranti o di coloro che parlano sapendo cosa dicono?"
"Io parlo proprio di tutti."
Diotima si mise a ridere. "Come possono dire di lui che è un dio potente se dicono che non è affatto un dio?"
"Ma chi dice questo?" dissi io.
"Tu per esempio - disse - ed anch'io!"
Ed io: "Ma cosa dici?"
"È tutto semplice. - rispose - Dimmi: non sei forse convinto che tutti gli déi sono felici e belli? O oseresti sostenere che qualcuno degli déi non è né bello né felice?"
"Io non oserei proprio", risposi.
"Ma chi è felice? Non è chi possiede cose buone e belle?"
"Certo."
"Ma tu hai riconosciuto che Eros, mancando delle cose buone e belle, le desidera proprio perché gli mancano."
"È vero, ero d'accordo con te su questo."
"E allora come può essere un dio se le cose buone e belle gli mancano?"
"Sembra impossibile, in effetti."
"Come vedi, - disse - anche tu ritieni che Eros non sia un dio."
"Chi sarà dunque Eros? un mortale?"
"No di certo."
"E allora?"
"E come negli esempi precedenti, la sua natura è a mezza via tra il mortale e l'immortale."
"Che vuoi dire, Diotima?"
"È un demone potente, Socrate. I demoni, infatti, hanno una natura intermedia tra quella dei mortali e quella degli déi."
"Ma qual è il suo potere?" chiesi.
"Eros interpreta e trasmette agli déi tutto ciò che viene dagli uomini, e agli uomini ciò che viene dagli déi: da un lato le preghiere e i sacrifici degli uomini, dall'altro gli ordini degli déi e i loro premi per i sacrifici compiuti; e in quanto è a mezza via tra gli uni e gli altri, contribuisce a superare la distanza tra loro, in modo che il Tutto sia in se stesso ordinato e unito. Da lui viene l'arte divinatoria, ed anche il sapere dei sacerdoti sui sacrifici, le iniziazioni, gli incantesimi, tutto quel che è divinazione e magia. Il divino non si mescola con ciò che è umano, ma, grazie ai demoni, in qualche modo gli déi entrano in rapporto con gli uomini, parlano loro, sia nella veglia che nel sonno. L'uomo che sa queste cose è vicino al potere dei demoni, mentre chi sa altre cose - chi possiede un'arte, o un mestiere manuale - resta un artigiano qualsiasi o un operaio. Questi demoni sono numerosi e d'ogni tipo: uno di essi è Eros."
"Chi è suo padre - domandai - e chi sua madre?"
"È una lunga storia. - mi disse - Adesso te la racconto. Il giorno in cui nacque Afrodite, gli déi si radunarono per una festa in suo onore. Tra loro c'era Poros, il figlio di Metis. Dopo il banchetto, Penìa era venuta a mendicare, com'è naturale in un giorno di allegra abbondanza, e stava vicino alla porta. Poros aveva bevuto molto nettare (il vino, infatti, non esisteva ancora) e, un po' ubriaco, se ne andò nel giardino di Zeus e si addormentò. Penìa, nella sua povertà, ebbe l'idea di avere un figlio da Poros: così si sdraiò al suo fianco e restò incinta di Eros. Ecco perché Eros è compagno di Afrodite e suo servitore: concepito durante la festa per la nascita della dea, Eros è per natura amante della bellezza - e Afrodite è bella.
"Proprio perché figlio di Poros e di Penìa, Eros si trova nella condizione che dicevo: innanzitutto è sempre povero e non è affatto delicato e bello come si dice di solito, ma al contrario è rude, va a piedi nudi, è un senza-casa, dorme sempre sulla nuda terra, sotto le stelle, per strada davanti alle porte, perché ha la natura della madre e il bisogno l'accompagna sempre. D'altra parte, come suo padre, cerca sempre ciò che è bello e buono, è virile, risoluto, ardente, è un cacciatore di prim'ordine, sempre pronto a tramare inganni; desidera il sapere e sa trovare le strade per arrivare dove vuole, e così impiega nella filosofia tutto il tempo della sua vita, è un meraviglioso indovino, e ne sa di magie e di sofismi. E poi, per natura, non è né immortale né mortale. Nella stessa giornata sboccia rigoglioso alla vita e muore, poi ritorna alla vita grazie alle mille risorse che deve a suo padre, ma presto tutte le risorse fuggon via: e così non è mai povero e non è mai ricco.
"Vive inoltre tra la saggezza e l'ignoranza, ed ecco come accade: nessun dio si occupa di filosofia e nessuno desidera diventare sapiente, perché tutti lo sono già. Chiunque possegga davvero il sapere, infatti, non fa filosofia; ma anche chi è del tutto ignorante non si occupa di filosofia e non desidera affatto il sapere. E questo è proprio quel che non va nell'essere ignoranti: non si è né belli, né buoni, né intelligenti, ma si crede di essere tutte queste cose. Non si desidera qualcosa se non si sente la sua mancanza."
"Ma allora chi sono i filosofi, se non sono né i sapienti né gli ignoranti?"
"È chiaro chi sono: anche un bambino può capirlo. Sono quelli che vivono a metà tra sapienza ed ignoranza, ed Eros è uno di questi esseri. La scienza, in effetti, è tra le cose più belle, e quindi Eros ama la bellezza: è quindi necessario che sia filosofo e, come tutti i filosofi, è in posizione intermedia tra i sapienti e gli ignoranti. La causa di questo è nella sua origine, perché è nato da un padre sapiente e pieno di risorse e da una madre povera tanto di conoscenze quanto di risorse.
"Così, mio caro Socrate, è fatta la natura di questo demone. L'idea, però, che tu ti eri fatta dell'Eros non mi sorprende per nulla: da quel che capisco dalle tue parole, tu credevi che Eros fosse l'amato, non l'amante. Per questa ragione, senza dubbio, ti sembrava che fosse pieno di ogni bellezza. Infatti l'oggetto dell'amore è sempre bello, delicato, perfetto, sa dare ogni felicità. Ma l'essenza di chi ama è differente: è quella che ti ho prima descritto."
Io allora ripresi:
"E sia, straniera: tu hai proprio ragione. Ma se questa è la natura dell'Eros, a cosa può esser utile a noi uomini?"
"Adesso cercherò di spiegartelo, Socrate. Eros ha dunque questo carattere e questa origine: ama le cose belle, come tu ben sai. Ora, prova a domandarti: che cos'è l'amore per le cose belle? o più chiaramente: chi ama le cose belle, le desidera; ma in che cosa consiste esattamente il desiderio che si prova quando si ama?"
"Noi desideriamo che l'oggetto del nostro amore ci appartenga", risposi io.
"Questa tua risposta - disse - apre un nuovo problema: che cosa accade all'uomo che possiede le cose belle?"
Io dichiarai che non ero affatto capace di rispondere a una domanda simile.
"E allora - disse lei - parliamo del bene invece che del bello. Cosa mi dici se ti domando: chi ama le cose buone, le desidera: ma cosa desidera?"
"Che siano sue", risposi.
"E cosa accade all'uomo che le possiede?"
"In questo caso posso rispondere più facilmente: - dissi - sarà felice."
"In effetti proprio possedere ciò che è buono fa la felicità delle persone. Così non abbiamo più bisogno di domandarci che cosa vuole chi vuole essere felice, perché parlando della felicità abbiamo già toccato il fine ultimo del desiderio."
"È vero", dissi.
"Ma questa volontà, questo desiderio, tu pensi sia comune a tutti gli uomini? Tutti vogliono sempre possedere ciò che è buono? Dimmi cosa ne pensi."
"È così, questa volontà è comune a tutti."
"Ma allora, Socrate, - riprese - perché non diciamo che tutti gli uomini amano, se tutti desiderano sempre le stesse cose? Come mai, al contrario, diciamo che alcuni uomini amano ed altri non amano affatto?"
"Sono stupito anch'io di questo", risposi.
"Non devi stupirti, però. - disse - Il fatto è che l'amore ha molte forme, ma noi prendiamo una sola di queste forme e le diamo il nome generico di amore come se fosse l'unica. Questo nome andrebbe dato a tutte, ma per le altre forme usiamo nomi diversi."
"Mi fai un esempio?", chiesi.
"Certo. Tu sai che la capacità creativa delle persone può manifestarsi in molti campi. La creatività entra in gioco tutte le volte che qualche cosa viene prodotta, perché prima non c'era e poi c'è; così le opere degli artigiani, in tutti i campi, sono frutto della creatività e gli uomini che le fanno sono tutti dei creativi, degli artisti."
"È vero."
"Però - continuò - tu sai che non li chiamiamo tutti artisti, ma diamo loro altri nomi. Tra tutti quelli che svolgono attività che hanno a che fare con la creatività, soltanto ad alcuni diamo il nome di artisti, di poeti: solo a quelli che compongono musica e versi. In realtà tutti lo sono. Solo i versi in musica chiamiamo arte, e soltanto questo è il dominio che riconosciamo agli artisti."
"È vero", dissi.
"Ed è lo stesso per l'amore. In generale, ogni desiderio di ciò che è buono, che è bello, è per tutti "amore possente, Eros ingannevole". Il desiderio umano ha mille forme diverse: alcune persone hanno la passione del denaro, o dello sport, o dello studio, ma noi non diciamo che amano, che sono innamorati. Altri, che seguono una particolare forma d'amore, ebbene solo per loro usiamo le parole che dovremmo usare per tutti: amore, amare, innamorati."
"Sei proprio convincente", risposi.
"Molti dicono, però, che amare significa cercare la propria metà. Io non sono d'accordo, perché non c'è affatto amore né per la metà né per l'intero, mio buon amico, se l'oggetto del nostro desiderio non è buono: le persone accettano di farsi tagliare anche i piedi o le mani, se sono convinte che queste parti possono portare dei mali. Io non credo affatto che ciascuno si affezioni a ciò che gli appartiene, a meno che non sia convinto che ciò che è suo sia buono e ciò che gli è estraneo sia cattivo. Gli uomini. infatti, non desiderano altro che il bene. Non la pensi così anche tu?"
"Certo, per Zeus", risposi.
"Allora possiamo dire semplicemente che gli uomini desiderano ciò che è buono?"
"Sì."
"E non dobbiamo forse aggiungere che essi desiderano possedere ciò che è buono?"
"Certo che dobbiamo."
"E non soltanto possederlo, ma possederlo sempre. Dobbiamo aggiungere anche questo."
"Quindi - disse - l'amore è il desiderio di possedere sempre ciò che è buono?"
"È così", dissi.
"Se è dunque chiaro - disse - che l'amore è questo, dimmi in quale forma, in quale genere di attività, l'ardore, la tensione estrema che accompagna lo sforzo di raggiungere questo fine, deve ricevere il nome di amore. Di quale tipo d'azione si tratta? Me lo sai dire?"
"Certamente no. - risposi - Se lo sapessi, non sarei così pieno d'ammirazione davanti al tuo sapere e non verrei da te come allievo per imparare quel che sai."
"Allora, - riprese - te lo dirò io: amare, sia per il corpo che per l'anima, significa creare nella bellezza."
"Bisognerebbe essere degli indovini per capire cosa vuoi dire con queste parole, e io non lo sono affatto."
"Mi esprimerò più chiaramente. Tutti gli uomini, mio caro Socrate, hanno capacità creative sia nel corpo che nell'anima. Tutti noi, quando abbiamo raggiunto una certa età, per natura proviamo il desiderio di generare, ma non si può generare nulla nella bruttezza: si può solo nella bellezza. Nell'unione dell'uomo e della donna c'è qualcosa di creativo, qualcosa di divino. Tutte le creature viventi sono mortali, ma in loro c'è una scintilla d'immortalità: è la fecondità dei sessi, la capacità di generare nuovi esseri viventi. Ma questo non può avvenire se non c'è armonia: e non c'è armonia tra la bruttezza e tutto ciò che è divino, perché solo la bellezza è in armonia con gli déi. Dunque nel concepire una nuova vita, la dea della Bellezza fa da Moira e da Ilitia, la dea della nascita. Per questo, chi ha dentro di sé qualcosa di creativo, quando si avvicina a ciò che è bello prova gioia nel suo cuore, si apre al fascino della bellezza. È il momento della generazione: egli crea. Ma quando si avvicina a ciò che è brutto, allora si chiude in se stesso scuro in volto e triste, cerca di allontanarsi, e così non crea affatto, anche se porta ancora dentro il suo seme fecondo, e ne soffre. Per questo chi sente la propria creatività pronta alla vita, è fortemente attratto dalla bellezza: soltanto chi possiede la bellezza è libero dalle sofferenze che ogni atto creativo comporta. E dunque Eros - concluse - non desidera affatto la bellezza, mio caro Socrate, come tu credi."
"E cosa allora?"
"Desidera creare e far nascere nuova vita nella bellezza."
"Ammettiamolo", dissi.
"È proprio così. - ripeté - Ma perché creare nuova vita? Perché per qualsiasi essere mortale l'eternità e l'immortalità possono consistere solo in questo: nel creare nuova vita. Ora, il desiderio d'immortalità accompagna necessariamente quello del bene - lo sappiamo, ormai - se è vero che l'amore è desiderio di possedere per sempre il bene. E così da tutto quello che abbiamo detto segue questo, che l'amore ha come proprio oggetto l'immortalità."
Ecco quello che Diotima mi insegnava, parlando delle cose d'amore. Un giorno mi chiese:
"Quale pensi che sia, Socrate, la causa dell'amore e del desiderio? Non vedi in che strano stato sono gli animali, quando il loro istinto li spinge a procreare? Tutti gli animali - che si muovano sulla terra o volino nell'aria - sembrano impazziti, l'amore li tormenta, e li spinge ad accoppiarsi. Poi quando viene il momento di nutrire i loro piccoli, sono sempre pronti a combattere per difenderli: anche i più deboli affrontano animali più forti di loro e sono pronti a sacrificarsi per amore dei loro piccoli. Soffrono loro le torture della fame, pur di sfamare i figli e far tutte le altre cose necessarie. Presso gli uomini si può pensare che tutto questo sia il frutto di una riflessione razionale. Ma presso gli animali, da dove proviene questo amore che li mette in tale stato? Puoi dirmelo?"
Ancora una volta risposi che non ne sapevo nulla. E allora riprese:
"E tu pensi di diventare un giorno davvero esperto nelle cose d'amore senza sapere questo?"
"Ma è ben per quello, Diotima, come ti dico sempre, che ti sto vicino, perché so di avere bisogno di una guida. Allora dimmi perché accade tutto questo e quant'altro riguarda l'amore."
"Se sei convinto - disse - che l'oggetto naturale dell'amore è quello sul quale abbiamo più volte discusso, non devi certo meravigliarti. Infatti su questo punto la natura mortale segue sempre lo stesso principio quando cerca, nella misura dei suoi mezzi, di perpetuare la vita e divenire immortale. E non può farlo che in questo modo, attraverso l'amore, che fa sì che un nuovo essere prenda il posto del vecchio. Riflettiamo: quando si dice che ciascun essere vivente rimane se stesso (per esempio che dalla nascita alla vecchiaia permane la sua identità), ebbene questo essere non ha mai in sé le stesse cose. Diciamo sì che è sempre lo stesso, ma in realtà non cessa mai di rinnovarsi ogni momento in certe parti, come i capelli, le ossa, il sangue, insomma in tutto il suo corpo.
E questo non è vero soltanto per il suo corpo, ma anche per la sua anima: i sentimenti, il carattere, le opinioni, i desideri, i piaceri, i dolori, i timori, niente di tutto questo rimane costante per ciascuno di noi, ma tutto in noi nasce e muore. E accadono cose più strane ancora. Non solo in generale certe conoscenze nascono in noi mentre altre spariscono - e quindi nel campo della conoscenza noi non rimaniamo mai gli stessi - ma ciascuna conoscenza in particolare subisce la stessa sorte. Infatti noi dobbiamo esercitarci nello studio proprio perché alcune conoscenze ci sfuggono continuamente: le dimentichiamo, tendono ad andare via, e con lo studio, inversamente, fissando nella memoria ciò che vogliamo ricordare, le conserviamo. È per questo che sembrano le stesse: in realtà le conserviamo rinnovandole. È così che tutti gli esseri mortali si conservano: non sono sempre esattamente se stessi, come l'essere divino. Sembrano conservare la loro identità perché ciò che invecchia e va via è subito sostituito da qualcosa di nuovo, molto simile. Ecco in che modo - Socrate - ciò che è mortale partecipa dell'immortalità, nel suo corpo e in tutto il resto; non c'è altro modo. Non meravigliarti dunque se ciascun essere è dominato dall'amore e si preoccupa tanto dei propri figli, perché questo è nella natura dei viventi: è al servizio dell'immortalità."
Queste parole mi riempirono di stupore e glielo dissi:
"Ma come, saggia Diotima, le cose stanno veramente così?"
Ella mi rispose col tono serio di chi insegna:
"Devi esserne certo, Socrate. Pensa alle ambizioni che hanno molte persone e ti meraviglierai senza dubbio della loro assurdità; se rifletti, meditando sulle mie parole, ti accorgerai di quanto è strano lo stato di coloro che desiderano diventar celebri e acquistar gloria immortale per l'eternità: sono disposti per questo a correre ogni rischio, più ancora che per difendere i loro figli. Sono pronti a mettere in gioco il loro denaro, ad affrontare tutti i disagi, a rischiare la loro stessa vita. Pensi forse che Alcesti sarebbe morta per Admeto, che Achille avrebbe seguito Patroclo sulla via della morte, che il vostro re Codro avrebbe affrontato la morte per conservare il regno ai suoi figli, se essi non avessero creduto di lasciare l'immortale ricordo del loro valore, che è giunto sino a noi? È così, disse. A mio avviso, è per rendere immortale il loro valore, per acquisire un nome glorioso, che gli uomini fanno quel che fanno, e questo tanto più se le loro qualità personali sono alte - perché è l'immortalità che essi desiderano.
"Allora, disse, gli uomini fecondi nel corpo pensano soprattutto alle donne: il loro modo d'amare è tutto nel cercare di generare dei figli e così assicurare alla loro persona l'immortalità - questo essi credono - e la memoria di sé e la felicità per tutto il tempo a venire. Altre persone, però, sono feconde nell'anima: c'è infatti una fecondità propria del nostro spirito che a volte è superiore a quella del corpo. Ecco qual è: è la forza creativa della saggezza e delle altre virtù in cui il nostro spirito eccelle. Questa fecondità eccelle nei poeti e in tutte le altre persone che per il loro mestiere devono usare la creatività. Ma dove la saggezza tocca le vette più alte e più belle è nell'ordinamento e nell'amministrazione della città attraverso la prudenza e la giustizia. Quando un uomo fecondo nel suo animo, simile agli déi, coltiva sin da giovane il proprio spirito, e divenuto adulto sente il desiderio di mettere a frutto le sue capacità, allora cerca in ogni modo la bellezza - perché mai potrà essere creativo nella bruttezza. I suoi sentimenti si dirigono allora verso le cose belle piuttosto che verso le brutte, proprio perché la sua anima è feconda. Se incontra un'anima bella e generosa e sensibile, allora le dà tutto il suo cuore: davanti a lei saprà trovare le parole giuste per esprimere la sua forza interiore, per esaltare i doveri e le azioni di un uomo che vale: così potrà guidarla educandola. E secondo me, attraverso il contatto con la bellezza dell'anima dell'altro, con la sua costante presenza, potrà venire alla luce quanto di meglio portava in sé da tempo: in questo senso la sua anima crea, genera nuova vita. Che sia presente o assente, il suo pensiero va sempre all'altro che ama e così nutre ciò che nel rapporto con lui in sé ha generato. Tra gli esseri di questa natura si crea così una comunione più intima di quella che si ha con una donna quando si hanno dei bambini, un affetto più solido. Son più belle, in effetti, ed assicurano meglio l'immortalità, le creature che nascono dalla loro unione. Chiunque vorrà senza dubbio mettere al mondo simili creature piuttosto che bambini, se si pensa ad Omero, ad Esiodo e agli altri grandi poeti. Si osserverà con invidia quale discendenza essi hanno lasciato, capace di assicurar loro l'immortalità della gloria e della memoria, perché anche i figli spirituali di quei grandi sono immortali. O ancora, se vuoi, - disse - puoi pensare quale eredità Licurgo abbia lasciato agli Spartani per la salvezza della loro città e, si può dire, della Grecia intera. Per le stesse ragioni voi onorate Solone, il padre delle vostre leggi, e in tutti i paesi - greci e barbari - sono onorati gli uomini che hanno prodotto grandi opere, mettendo a frutto le più alte capacità del loro spirito. In onore di quello che queste persone hanno saputo creare si sono già innalzati molti templi, mentre questo non è mai accaduto fino ad oggi, per i figli nati dall'amore di un uomo e di una donna.
"Ecco, Socrate, le verità sull'amore alle quali tu puoi certamente essere iniziato. Ma le rivelazioni più profonde e la loro contemplazione - il fine ultimo della ricerca su Eros - non so se sono alla tua portata. Voglio però parlartene egualmente, senza diminuire il mio sforzo. Cerca di seguirmi, almeno finché puoi. Chi inizia il cammino che può portarlo al fine ultimo, sin da giovane deve essere attento alla bellezza fisica. In primo luogo, se chi lo dirige sa indirizzarlo sulla giusta strada, si innamorerà di una sola persona e troverà con lei le parole per i dialoghi più belli. Poi si accorgerà che la bellezza sensibile della persona che ama è sorella della bellezza di tutte le altre persone: se si deve ricercare la bellezza che è propria delle forme sensibili, non si può non capire che essa è una sola, identica per tutti. Capito questo, imparerà a innamorarsi della bellezza di tutte le persone belle e a frenare il suo amore per una sola: dovrà imparare a non valutare molto questa prima forma dell'amore, a giudicarla di minor valore. Poi, imparerà a innamorarsi della bellezza delle anime piuttosto che della bellezza sensibile: a desiderare una persona per la sua anima bella, anche se non è fisicamente attraente. Con lei nasceranno discorsi così belli che potranno elevare i giovani che li ascoltano. E giunto a questo punto, potrà imparare a riconoscere la bellezza in quel che fanno gli uomini e nelle leggi: scoprirà che essa è sempre simile a se stessa, e così la bellezza dei corpi gli apparirà ben piccola al confronto. Dalle azioni degli uomini, poi, sarà portato allo studio delle scienze, per coglierne la bellezza, gli occhi fissi sull'immenso spazio su cui essa domina. Cesserà allora di innamorarsi della bellezza di un solo genere, d'una sola persona o di una sola azione - una forma d'amore che lo lascia ancora schiavo - e rinuncerà così alle limitazioni che lo avviliscono e lo impoveriscono. Orientato ormai verso l'infinito universo della bellezza, che ha imparato a contemplare, le sue parole e i suoi pensieri saranno pieni del fascino che dà l'amore per il sapere. Finché, reso forte e grande per il cammino compiuto, giungerà al punto da fissare i suoi occhi sulla scienza stessa della bellezza perfetta, di cui adesso ti parlerò".
"Sforzati - mi disse Diotima - di dedicarti alle mie parole con tutta l'attenzione di cui sei capace. Guidato fino a questo punto sul cammino dell'amore, il nostro uomo contemplerà le cose belle nella loro successione e nel loro esatto ordine; raggiungerà il vertice supremo dell'amore e allora improvvisamente gli apparirà la Bellezza nella sua meravigliosa natura, quella stessa, Socrate, che era il fine di tutti i suoi sforzi: eterna, senza nascita né morte. Essa non si accresce né diminuisce, né è più o meno bella se vista da un lato o dall'altro. Essa è senza tempo, sempre egualmente bella, da qualsiasi punto di vista la si osservi. E tutti comprendono che è bella. La Bellezza non ha forme definite: non ha volto, non ha mani, non ha nulla delle immagini sensibili o delle parole. Non è una teoria astratta. Non è uno dei caratteri di qualcosa di esteriore, per esempio di un essere vivente, o della Terra o del cielo, o non importa di cos'altro. No, essa apparirà all'uomo che è giunto sino a lei nella sua perfetta natura, eternamente identica a sé stessa per l'unicità della sua forma. Tutte le cose belle sono belle perché partecipano della sua bellezza, ma esse nascono e muoiono - divenendo quindi più o meno belle - senza che questo abbia alcuna influenza su di lei. Iniziando il proprio cammino dal primo gradino della bellezza sensibile, l'uomo si eleva coltivando il suo fecondo amore per i giovani e così impara a percepire in loro i segni della pura e perfetta bellezza: allora potrà dire di non essere lontano dalla meta. Così, da soli o sotto la guida di un altro, la perfetta via dell'amore ha inizio con la bellezza sensibile ed ha per fine la contemplazione della Bellezza pura: l'uomo deve salire come su una scala, da una sola persona bella a due, poi a tutte, poi dalla bellezza sensibile alle azioni ben fatte e alla scienza, fino alla pura conoscenza del bello, e ancora avanti sino alla contemplazione della Bellezza in sé. Questo, mio caro Socrate, - mi disse la straniera di Mantinea - è il momento più alto nella vita di una persona: l'attimo in cui si contempla la Bellezza pura. Se la vedrai un giorno, al suo confronto sfioriranno le ricchezze, i bei vestiti, i bei ragazzi che ti fanno girar la testa: eppure tu e tanti altri accettereste di non mangiare né bere, per così dire, pur di poterli ammirare e poter stare con loro. Cosa proverà l'anima allora nel fissare la Bellezza pura, semplice, senza alcuna impurità, del tutto estranea all'imperfezione umana, ai colori, alle vanità sensibili? Cosa proverà il nostro spirito nel contemplare la Bellezza divina nell'unicità della sua forma? Credi forse che possa ancora essere vuota la vita di un uomo che abbia fissato sulla Bellezza il suo sguardo, contemplandola pur nei limiti dei mezzi che possiede, ed abbia vissuto in unione con essa? Non pensi - disse - che solamente allora, quando vedrà la bellezza con gli occhi dello spirito ai quali essa è visibile, quest'uomo potrà esprimere il meglio di se stesso? Non una falsa immagine egli contempla, infatti, ma la virtù più autentica, in piena verità. Egli coltiva in sé la vera virtù e la nutre: non sarà forse per questo amato dagli déi? non diverrà tra gli uomini immortale?"
Ecco, Fedro, e voi tutti che mi ascoltate, quel che mi disse Diotima.
[...]