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ed è, in buona parte condivisibile. In fondo, ho ricordi adolescenziali e giovanili di fior di intellettuali che non avevano paura di sporcarsi le mani con la televisione, penso a Pasolini, Soldati, Moravia e tanti altri. L'intellettuale non aveva paura di sporcarsi le mani, come dice Grasso, e nemmeno la televisione aveva paura di fare programmi impegnati o di un certo livello, perchè non c'era la tirannia dell'audience a tutti i costi. Guarda caso, quando la televisione -pubblica- ha smesso di voler fare cultura per seguire i presunti gusti del pubblico il palinsesto si è modificato -in peggio- e i programmi culturali sono stati spostati in orari marginali o in reti minori.Dunque ben vengano intellettuali in televisione, e non solo a presentare libri.Il problema sta forse più nei media che negli autori: chi ha il coraggio di puntare sulla qualità? Il che apre un altro quesito: i programmi culturali fanno perdere spettatori, ma allora perchè non li facevano perdere un tempo? Perchè c'era meno concorrenza? Per via dell'effetto novità? Lasciati liberi di scegliere, è possibile che gli spettatori si dirigano, inesorabilmente, verso quelli che genericamente potremmo chiamare programmi spazzatura?E' come il caso dell'uovo e la gallina: non si sa se vengono prima i gusti del pubblico, a orientare gli autori o gli interessi -economici- dei media.Comunque, non si può fare troppo gli schizzinosi e i pretenziosi: in fondo, qualche programma di buon livello c'è anche adesso e non si può pretendere che tutta la programmazione sia uniforme.Forse il problema è un altro: un'informazione imparziale. La capacità di formare opinione della televisione è ampia, in confronto a quella degli altri media. La possibilità di avere un'informazione imparziale, anche se dichiaratamente schierata, è forse un obiettivo ancora più ambizioso da raggiungere del portare gli intellettuali in televisione.
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