INCHIESTE (Torino). Vi sono in giro per il mondo personaggi e società che si arricchiscono a botte di milioni di euro lucrando sul futuro delle giovani promesse del calcio mondiale; non si tratta degli agenti o procuratori che, pur attirandosi spesso le critiche, forniscono ai calciatori i loro servizi, ma di fondi che acquistano parti di giocatori nella speranza che il loro valore cresca, esattamente come se si trattasse di una azione quotata in Borsa o di merci. Ve ne sono qualche decina nel mondo, e gli otto più importanti hanno, in questo momento, almeno 500 milioni di euro investiti in attesa di farli fruttare in futuro. Un esempio può aiutare a capire meglio la situazione: un fondo acquista per un milione di euro, che paga alla società calcistica, il 50% della proprietà di una giovane promessa e sta alla finestra. Se in un paio d’anni il valore del calciatore cresce e viene ceduto per 6 milioni, il fondo d’investimento incassa 3 milioni e un profitto del 300%, una enormità. Il rischio d’impresa è legato alla mancata crescita del valore o al fatto che il calciatore non venga trasferito prima della scadenza del contratto ma in questo caso gli investitori si proteggono con clausole che prevedono penali. Nel 2002, il fondo First Portuguese SGPS versò allo Sporting 3.1 milioni di euro per acquistare una non meglio precisata quota del diciassettenne Cristiano Ronaldo e di cinque compagni; l’anno successivo CR7 venne ceduto al Manchester United che pagò 15 milioni di euro.
Chi difende il sistema sostiene che solo in questo modo certe realtà calcistiche più povere come il Sudamerica o il Portogallo possano trattenere i loro prospetti ottenendo un sostegno economico, chi lo avversa come le autorità del calcio evidenzia come si tratti di uno dei pochi casi nei quali essere umani sono trattati come beni da compravendita e come possano nascere conflitti di interessi enormi soprattutto quando gli stessi fondi agiscano anche in altri ruoli come quello di agente dello stesso calciatore.
Un caso che sarà di attualità la prossima estate conferma più di mille esempi l’intreccio spesso critico di interessi che un tale sistema può generare intorno ad una futura star del calcio. Parliamo del ventunenne brasiliano Neymar, che attualmente nel Santos, e che è appetito dalle migliori squadre europee. Nel 2007, quando aveva 17 anni, la sua famiglia cedette il 40% del ragazzo (suona male, vero?) alla DIS, società che opera in questo mercato e attualmente controlla almeno 70 calciatori brasiliani, per 5.5 milioni di reales, poco più di 2 milioni di euro al cambio attuale, oltre a cedere i diritti d’immagine fino al 2014. Quello stesso anno Neymar entrò nelle giovanili del Santos e iniziò a dimostrare il suo eccezionale valore, il suo contratto con il Peixe (il pesce, il soprannome della squadra paulista) sin dall’inizio prevedeva una clausola rescissoria di 35 milioni di euro fino alla fine del 2010 che cresceva a 45 milioni di euro dal 2011. Per la serie non c’è limite al peggio, gli allora dirigenti del Santos costituirono una società, la Teisa, e per il Natale del 2010 si fecero un regalo. Il Santos cedette a sconto a questa società costituita da alcuni dei suoi dirigenti il 5% di Neymar: la Teisa pagò 1.5 milioni di euro una quota che pochi giorni dopo, sulla base dell’aggiornamento della clausola rescissoria avrebbe avuto un valore minimo di 2.3 milioni. Insomma, a 21 anni, Neymar da Silva Santos Júnior è diventato come un barile di petrolio comprato, venduto, opzionato. E per quanto lui dica il contrario, il suo futuro è nelle mani di altri come la DIS che ha tutti gli interessi a sfruttare fino in fondo i suoi diritti di immagine in Brasile per ancora una stagione.
Questo intreccio di interessi, spesso contrastanti, spesso ai livelli del comportamento non etico ha portato alcune Federazioni come quella inglese a impedire questi traffici mentre la FIFA sta ancora lavorando sulla base delle sempre più numerose pressioni per escludere il ripetersi in futuro di queste situazioni.