Arrivo subito al punto senza troppi giri di parole: il premio letterario La Giara ha annunciato i nomi dei sei finalisti che si contenderanno la Giara d’Oro a fine mese ed io non sono tra di loro.
Ecco, un tempo avrei iniziato il seguente post sganciando bombe atomiche su tutto e tutti, dicendo che il sogno è finito e sarei piombato in quel limbo di autolesionismo interno sull’essere sempre l’eterno incompreso e che ogni volta che arrivo, metaforicamente parlando, a spogliare Charlize Theron, non riesco mai a toglierle le mutande.
Ma non è questo il giorno (cit.).
Avere trentatré anni e diversi ciuffi bianchi sulla barba, mi ha portato quella saggezza che, sinceramente, non credevo di avere e, di conseguenza, a farmi vedere le cose per come stanno davvero. Perché nonostante sia un sognatore per natura (non potrei scrivere se non lo fossi), sono un realista. Forse anche troppo. A voi piace chiamarmi cinico, ma credetemi, realista è la parola giusta.
Perché un realista vede le cose molto prima che queste accadano. Un realista sa quando può permettersi di sognare e quando, come in questo caso, stare con i piedi ben saldi per terra.
Era impossibile che il mio libro arrivasse tra i primi sei. E vi spiego anche il motivo: insieme ai nomi dei finalisti, il sito del premio ha pubblicato la sinossi delle sei opere arrivate fino all’ultimo scoglio:
- Babbo morto e di conseguenza infanzia difficile.
- Gruppo di drogati con logica redenzione finale causa decesso.
- Il legame tra una madre anziana e il figlio partito per la guerra.
- La storia parallela tra tre giovani e Giovanni Artom, morto durante la Resistenza.
- Un musicista fallito. Ovviamente morto.
- L’immancabile figlio aristocratico tedesco che crede di essere ariano, ma che in realtà è di discendenza ebrea. (Oh, gli ebrei arrivano sempre in fondo…).
Capite bene che quattro amici cazzoni che si sfasciano sul divano a giocare alla Playstation ed uno di loro, rimasto senza lavoro, decide di vendere la propria fidanzata su eBay perché non se la può più permettere è un po’, come dire, fuori tema.
Per questo essere arrivato primo finalista toscano (per altro, davanti al racconto del babbo morto con infanzia difficile) è stato un miracolo.
Anzi no, non è stato per niente un miracolo.
Perché, immagino, che tra i 1560 romanzi arrivati e valutati dalle varie regioni, i temi ricorrenti saranno stati in maggioranza quelli che poi sono arrivati in finale. La realtà è che se sono arrivato primo con una storia semplice, leggera, scanzonata o come vi piace chiamarla, significa che so scrivere meglio di tanti altri. Probabilmente anche degli “inutili sei”.
Ma è un concorso della Rai.
Quella Rai che fa parlare Marzullo di cinema, che ha fatto piangere milioni di telespettatori con Braccialetti Rossi e che continua a non farci sentire un minimo di musica con la kermesse Sanremese.
Ve li immaginate i Litfiba sul palco dell’Ariston che cantano Maudit? Io no.
Per niente.
Sarebbero fuori tema.
Proprio come me.
Il mio libro con tutto questo non c’entra nulla.
E mi va bene, benissimo, così. Certo, mi sarebbe piaciuto vincere e fare il discorso di Rocky (con alcune modifiche) in Rocky 2 al momento della premiazione. Ma non è scritto da nessuna parte che il migliore debba per forza vincere un premio. Cruijff non ha mai vinto un Mondiale e Barone sì. Lo stesso vale per Kubrick e Sergione mio che non hanno mai vinto un Oscar come miglior regista. Maverick arriva secondo dietro Iceman, ma sappiamo tutti com’è andata durante la loro prima missione.
Questo concorso mi ha regalato il premio più grande che potessi ricevere: accettare la mia diversità.
L’ho sempre vissuta troppo male. Quasi come un handicap. E più che mi intestardivo nel cercare di darmi una spiegazione al mio andare controcorrente e più che stavo male. Per anni ho voluto essere come tutti. Anche come qualcuno di voi che in questo momento mi starà leggendo. Perché vi ho sempre visto più bravi di me per qualsiasi motivo. Dalla pagella scolastica al saperci fare con le donne. Avrei venduto l’anima al Demonio per essere sfacciato, splendido e, talvolta, pure ignorante. Osservarvi mi distruggeva, ma non potevo farlo vedere. Sarebbe stata un’ulteriore umiliazione. Ero convinto che il mondo fosse in mano agli anonimi. Colpa dell’autostima. Anche quella credevo di non averla.
Sono un realista. Ho avuto bisogno del mio tempo, ma ce l’ho fatta a vedere come stanno davvero le cose. Finalmente ho capito che non ho niente da imparare da voi, ma siete voi che avete tanto da imparare da me.
Vi lascio con una promessa: il prossimo anno sarò al salone del libro di Torino.
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