Magazine Diario personale

La Sindrome di Quo

Da Big @matteoaiello

Se un uomo non è disposto ad affrontare qualche rischio
per le sue opinioni, o le sue opinioni non valgono niente
o non vale niente lui.

Ero seduto nella mia cameretta ad interagire su Messenger con qualcuno (no, per una volta nessuna donzella dato che nel 2005 ero più o meno felicemente fidanzato), quando mi accorsi che tra le funzioni di Windows Live c’era la possibilità di aprire un blog.
Che caxxo è un blog?” mi chiesi.
Curioso come la comare di paese, iniziai a cercare su Google questa parola a me sconosciuta, scoprendo che non era altro che il caro vecchio diario in versione multimediale.
Come ho più volte detto, mi è sempre piaciuto scrivere. Sulla Smemoranda, sui libri di testo, sui Moleskine, sui tovaglioli. Ovunque.
Niente di impegnativo, anche perché non ho mai considerato la scrittura come una forma di evasione. Per quella c’erano e ci sono tutt’ora i film e la musica di un certo periodo
La mia professoressa d’italiano diceva: “Matteo scrive, scrive, scrive, scrive. Fogli protocollo interi. Però alla fine non dice mai niente!”. Infatti, quando decisi di aprire un blog, l’idea era parlare di stronzate. Di cinema, videogiochi, musica e un po’ di calcio anche se la mia città non condivide la mia fede strisciata.
Di conseguenza, non avrei mai creduto di scrivere quello che sto scrivendo.

Ad oggi, il mio precedente post sulla pallacanestro ha superato le 35mila visualizzazioni spazzando via il precedente record. D’istinto, mi verrebbe da dire che, teneri miei lettori, avete perso un attimino il capo.
Ho passato una settimana a chiedermi il perché di tutte queste visite, i messaggi privati, le mail e i tanti, troppi, complimenti che ho ricevuto e che sinceramente non mi spiego neanche. Ho scritto svariate cose molto più carine e molto più geniali che avrebbero meritato una maggiore esaltazione, ma che sono state lette dalla nicchia dei miei aficionados e basta. E’ il teorema di Yellnikoff: “Più di quanto non vogliate accettare, è la fortuna a governarvi“.

Quando ho smesso di pensare a tutti questi perché e alla mia fissazione di voler trovare sempre una spiegazione a tutto, mi sono reso conto di una cosa. Dell’evidenza. Perché è vero che sono fin troppo autocritico, ma è anche vero che sono fin troppo realista. Con me stesso e con ciò che mi circonda.
Non credevo che col passare degli anni, il mio blog diventasse quello che è diventato. Negli anni post teenager, sono sempre stato visto come un coglionazzo, buono solo per le cazzate. Mi andava bene così, anche perché mi ero convinto di avere il cervello di un’oliva e che davvero non potessi dare altro. Poi però, ogni volta che i cosiddetti sapienti (i classici intellettualoidi che ci sono in ogni compagnia) esponevano il loro pensiero sentivo che anche io avevo il mio, ma non avevo il coraggio di schierarmi perché ammetto che l’immagine del Fonzie della situazione, pur avendo perso il ciuffo, mi è sempre piaciuta.
Ma chi è Fonzie? Un nano che ha l’ufficio in un bagno e che prende a cazzotti i juke box.
Così ho cominciato ad esporre le mie idee, giurando a me stesso che non sarei mai stato più zitto e per farlo ho iniziato a leggere, studiare ed informarmi su ogni tipo di argomento per poter giustificare tutto quello che avrei detto e poi scritto.
Oggi (e non finirò mai di ringraziare il grande Bande) si può riassumere tutto con la Sindrome di Quo, ovvero l’avere un sacco di cose da dire e quando toccherebbe a noi dirle, non ci viene da dire niente. O peggio ancora diciamo cose talmente stupide che era meglio tacere.
Inoltre, non sono più i tempi dell’enciclopedia in dieci volumi. Internet è in grado di sputtanarti in un secondo, quindi l’attenzione deve essere maggiore. Anche se come dice Nick Naylor in Thank You For Smoking: se argomenti bene non hai mai torto. Il merito, o la colpa, di tutto quello che ho scritto o detto nel corso degli anni è solo di questa massima.

Ma in assoluto, la cosa che mi ha lasciato più perplesso di questi sette giorni di celebrità è il fatto che chiunque mi ha scritto ha sempre cercato un confronto, chiedendomi perché la pensassi in quel modo. Nessuno che mi ha detto “sei un mito“, così come nessuno mi ha detto “non capisci un cazzo, idiota“. Cosa che succede quando racconto le surreali uscite con le lesionate che, da buon stupid scout, ho scelto con la stessa precisione che aveva David Beckham sui calci da fermo.
In tutti i post che ho pubblicato ho sempre espresso il mio pensiero. Mio e di nessun altro. Non sono un predicatore, ne parlo per la gente o per chi non ha voce. Mi fa piacere che la mia idea sia condivisa, anche se come disse Oscar Wilde ogni volta che la gente è d’accordo con me, provo la sensazione di avere torto, e l’ho fatto anche per la pallacanestro che, come ho scritto, nel bene e nel male l’ho reputata per anni l’amore della mia vita.
Un mio carissimo amico, nonché una delle poche persone per cui mi taglierei una mano, mi ha detto al telefono che ho avuto il coraggio di scrivere quello che la gente pensa, ma che nessuno ha mai avuto il coraggio di dire. Ammetto di aver gonfiato il petto e di essermi pisciato nelle mutande, ma mi è sembrata una cosa fin troppo normale. Come dice la citazione di inizio post se un uomo non è disposto ad affrontare qualche rischio per le sue opinioni, o le sue opinioni non valgono niente o non vale niente lui.

Per una volta non vi odio, ma vi ringrazio.
Tutti.
Dal primo all’ultimo.
Siete riusciti in due cose che credevo impossibili: far salire, di poco ma è comunque salita, la mia autostima e farmi credere che c’è una ristretta, piccolissima, parte di esseri umani che non merita l’estinzione.
Grazie.
Di Quore.

Il pezzo di chiusura non poteva che essere del Boss.
Se sono chi sono è anche merito tuo.


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