Avete presente quei libri che dopo un po’ che ci siete entrati non vorreste uscirne più? Quelli che creano un ambiente e dei personaggi che ti viene voglia di restare lì con loro?
Che magari non sono dei capolavori, ma non vedi l’ora di tornare a casa per andare avanti? E guai a leggerli prima di dormire?
Un po’ come succedeva per Pennac, che avevi l’impressione di vivere in quella famiglia strampalata, con Benjamin e Julie, la madre sempre incinta, le tante sorelle, i fratelli, gli amici e pure il cane epilettico.
Anche Fred Vargas riesce a creare questo effetto col commissario Adamsberg del 13° arroundissement di Parigi; il suo vice Danglard, coltissimo e affettuosissimo padre di cinque figli, alcolizzato; con Camille, l’amore impossibile di Adamsberg, musicista, compositrice, nonché idraulico; e via dicendo.
Perciò mi chiedo se questa non sia una dote tutta francese, ma subito mi vengono in mente altri esempi: quelli dell’inglese Jonathan Coe, o i deliziosi gialli di Alexander McCall Smith, lo scrittore dello Zimbabwe che ambienta i suoi romanzi nel Botswana. La protagonista, Precious Ramotswe, è una signora africana di taglia tradizionale (ciccionissima secondo i nostri canoni), poi c’è anche la sua segretaria con gli occhiali, bruttina ma brillante in tutto, il fidanzato della signora Ramotswe che fa il meccanico, a cui si aggiungono due orfanelli da loro adottati, due assistenti meccanici sfaticati etc. Con tutto quel caldo, la signora Ramotswe e la sua segretaria, la signorina Makutsi, se ne stanno nella Ladies’ Detective Agency N.1 a bersi il tè e abbiamo l’impressione che per risolvere i casi basti parlarne un po’ e aspettare finché gli intrecci si sciolgono da soli.
Poi c’è anche Pedra Delicado, protagonista di un altro giallo, stavolta spagnolo, creato dalla scrittrice Alicia Giménez-Bartlett.
Dunque questo tipo di libri sono spesso gialli, ma non solo. Come si spiega?
In parte succede perché per avere questa sensazione di essere a casa ci vuole una “serie” e molto spesso le serie sono gialle. Però c’entra anche il fatto che questi romanzi sono pieni di personaggi e di intrecci.
Ma veniamo a noi. Gli occhi gialli dei coccodrilli non è un giallo.
E’ una saga famigliare contemporanea scritta da Katherine Pancol, una francese, nata a Casablanca che vive in Francia da quando aveva cinque anni.
La Pancol impara a scrivere facendo la giornalista, come lei stessa dichiara sul suo sito: impara a rifare anche venti volte lo stesso articolo fino a quando non suoni bene. Nel 1979 pubblica il primo romanzo che è un grande successo. Da allora non ha mai smesso di scrivere: romanzi, sceneggiature e articoli per Elle, Paris Match e Cosmopolitan.
Ma è nel 2008 che entra nell’Olimpo degli scrittori più letti di Francia insieme a Marc Levy e Guillaume Musso, gli specialisti del best seller, sempre in testa a tutte le classifiche. E insieme alle colleghe Anna Gavalda, Fred Vergas, Muriel Barbery e Amélie Nothomb.
Gli occhi gialli dei coccodrilli viene pubblicato nel 2006 ma gli ci vogliono due anni per arrivare al successo. E’ l’inizio di una serie fortunata. Seguono: Il valzer lento delle tartarughe, nel 2008, e Gli scoiattoli di Central Park sono tristi il lunedì, nel 2010.
Risultato: più di 3 milioni di libri venduti complessivamente, tradotti in 25 lingue (tra cui il cinese). E nel primo semestre del 2010, la Pancol ha superato persino Levy e Musso.
In Italia Gli occhi gialli dei coccodrilli è stato pubblicato da Baldini Castoldi Dalai nel 2009, ma è passato piuttosto inosservato.
Una donna, nella sua cucina, pela le patate, si taglia e piange… questo è l’inizio di un librone di 650 pagine. Lo sguardo è femminile. Ci sono tante donne di tante età, dalle bambine alle anziane, e sono ben descritte e caratterizzate.
La protagonista è una di cui tutti si approfittano, che tutti imbrogliano, derubano e insultano, contando sul fatto che è incapace di difendersi e che subisce come se fosse normale subire. Joséphine, studiosa del Medioevo, è una donna infaticabile e piena di talento, ma è una fessa nei rapporti con gli altri. E’ talmente imbranata, che ti fa rabbia e a volte pensi che le stia bene: così impara a darsi una mossa!
Certo nel romanzo succedono cose da favola, ma prima l’autrice tortura per bene i suoi personaggi, perciò il fatto che poi se la cavino non può che farci piacere. Succedono delle enormità poco credibili che ci beviamo (quasi) tutte e piovono valanghe di soldi sui protagonisti squattrinati: questo sembra un rito propiziatorio, o una premonizione, visto che il romanzo frutterà milioni di euro.
Katherine Pancol
Ma non sono solo rose e fiori. La critica trova l’autrice “leggera” e la fa a fettine. Le Monde scrive che Gli scoiattoli di Central Park sono tristi il lunedì è “un libro facile da leggere e facile da dimenticare”. E lo scrittore Patrick Besson la prende in giro, proponendo una lista di titoli per il prossimo romanzo: I fagioli non cuociono da soli nella casseruola, o Il criceto s’è svegliato alle cinque etc.
Si direbbe che l’autrice abbia studiato per confezionare un best seller. Questo è anche il tema del libro e, visto che un autore è tutti i suoi personaggi, si intuisce che il problema del successo sia al centro della “poetica” della Pancol. Il romanzo è ricorsivo: un libro che parla di un libro che diventa un best seller diventa un best seller.
Prima Osbetek voleva farne un film, poi è stato il turno di Lelouch, ma ha abbandonato il progetto. Più che un film, che sarebbe necessariamente un compendio dei numerosi intrecci e personaggi, credo che il romanzo si presti a diventare una serie tv. La narrazione che si interrompe proprio sul più bello e ci lascia in sospeso (sul ciglio del burrone…) per andare a vedere cosa capita altrove, agli altri personaggi, ha già la struttura della serie. Perciò se fossi il direttore di un network correrei a comprarmi i diritti.