La domanda sorge spontanea: il Pd di Bersani e di Renzi difende gli interessi di quale classe sociale? Non ci si risponda “tutte” perché questo era bravissima a farlo la Democrazia Cristiana. Le brutte copie non ci interessano. La “sinistra”, per propria costituzione ideale, dovrebbe stare dalla parte dei “deboli”, e quando diciamo “deboli” non ci riferiamo a nessuna visione romantica della politica. Se da una parte c’è il capitale e, quindi, la ricchezza, dall’altra ci sono le classi più svantaggiate, quelle con meno potere contrattuale economico e sociale, quelle che hanno bisogno del welfare per tirare a campare, ma, soprattutto, per dimostrare che in un paese civile, tutti i cittadini hanno uguali diritti e doveri di fronte a un’entità sempre più astratta che si definisce “Stato”. Si chiama democrazia e non ha bisogno di alcun aggettivo, basta la parola. Ecco allora che la contestazione degli operai dell’Alcoa a Bersani, appena sbarcato in Sardegna per le primarie del Pd, e quel termine terribile che gli hanno urlato, “traditore”, assume un significato simbolico altissimo perché si può riferire solamente al tradimento pidino della sua componente storica più importante: la classe operaia. Per più di venti anni, la dirigenza politica di questo paese ha considerato gli operai come i latifondisti degli Stati Uniti del Sud i neri che raccoglievano cotone: schiavi. La definizione “tuta blu”, era quasi un insulto, a fronte delle ricchezze che maturavano grazie all’evasione fiscale e ai derivati tossici di una finanza spietata. Le “tute blu” non potevano permettersi due Iphone, versione bianca e nera, perché dovevano tirare a campare in una nazione che svuotava il welfare e andava ad arricchire le cricche, i maggiordomi e le mignotte con tanto di autorizzazione al mercimonio di mamma e papà. E, tanto perché ci si trovava (sempre la classe dirigente di questo Paese), ha considerato gli stessi insegnanti della scuola pubblica al pari delle tute blu, un orpello ideologico sinistrorso e, quindi, da combattere, meglio, da abbattere. In piena crisi globale, ci si è resi conto che la finanza aveva fallito, che il prestigio delle scuole e delle università private era più che altro un lusso e non un’esigenza di crescita reale delle giovani generazioni, e che il sogno di arricchimenti facili era naufragato in una sala Bingo. Via via sono scemati, uno dopo l’altro, i concetti di lavoro inteso come “valore” e di istruzione intesa come “crescita”, individuale e collettiva. Da distruggere restava solo la cultura che, da sola, poteva in qualche modo sopperire alla mancanza di sensibilità sociale e alla crescita irrefrenabile di un modello di sviluppo economico aberrante, basato sulla sopraffazione. Detto, fatto. Con la scusa della crisi, la cultura l’hanno gettata nel cestino dei rifiuti, proprio come si fa in un paese dittatoriale qualsiasi, per paura che il popolo riprenda a pensare e, quindi, a ribellarsi. Il risultato di questa sistematica opera di demolizione di più mondi, è sotto gli occhi di tutti, si chiama povertà e non vergogniamoci di dirlo. Non risulti strano, infine, che gli operai dell’Alcoadiano del “traditore” a Bersani né che gli impiegati del Comune di Firenze, contestino Matteo Renzi in pieno consiglio comunale. I pidini, per anni hanno chiuso gli occhi, per anni hanno condiviso un andazzo politico che ha difeso solo i privilegi della casta, puntando dritta al centro moderato una barra politica senza senso e senza più timoniere. Chi semina vento raccoglie una tempesta di insulti, che è sempre troppo poco rispetto ai guasti che ha causato.
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Gli operai dell’Alcoa contestano Bersani, i dipendenti comunali, Renzi. La scuola scende in piazza. Ma questo Pd, con chi sta?
Creato il 20 novembre 2012 da Massimoconsorti @massimoconsorti
La domanda sorge spontanea: il Pd di Bersani e di Renzi difende gli interessi di quale classe sociale? Non ci si risponda “tutte” perché questo era bravissima a farlo la Democrazia Cristiana. Le brutte copie non ci interessano. La “sinistra”, per propria costituzione ideale, dovrebbe stare dalla parte dei “deboli”, e quando diciamo “deboli” non ci riferiamo a nessuna visione romantica della politica. Se da una parte c’è il capitale e, quindi, la ricchezza, dall’altra ci sono le classi più svantaggiate, quelle con meno potere contrattuale economico e sociale, quelle che hanno bisogno del welfare per tirare a campare, ma, soprattutto, per dimostrare che in un paese civile, tutti i cittadini hanno uguali diritti e doveri di fronte a un’entità sempre più astratta che si definisce “Stato”. Si chiama democrazia e non ha bisogno di alcun aggettivo, basta la parola. Ecco allora che la contestazione degli operai dell’Alcoa a Bersani, appena sbarcato in Sardegna per le primarie del Pd, e quel termine terribile che gli hanno urlato, “traditore”, assume un significato simbolico altissimo perché si può riferire solamente al tradimento pidino della sua componente storica più importante: la classe operaia. Per più di venti anni, la dirigenza politica di questo paese ha considerato gli operai come i latifondisti degli Stati Uniti del Sud i neri che raccoglievano cotone: schiavi. La definizione “tuta blu”, era quasi un insulto, a fronte delle ricchezze che maturavano grazie all’evasione fiscale e ai derivati tossici di una finanza spietata. Le “tute blu” non potevano permettersi due Iphone, versione bianca e nera, perché dovevano tirare a campare in una nazione che svuotava il welfare e andava ad arricchire le cricche, i maggiordomi e le mignotte con tanto di autorizzazione al mercimonio di mamma e papà. E, tanto perché ci si trovava (sempre la classe dirigente di questo Paese), ha considerato gli stessi insegnanti della scuola pubblica al pari delle tute blu, un orpello ideologico sinistrorso e, quindi, da combattere, meglio, da abbattere. In piena crisi globale, ci si è resi conto che la finanza aveva fallito, che il prestigio delle scuole e delle università private era più che altro un lusso e non un’esigenza di crescita reale delle giovani generazioni, e che il sogno di arricchimenti facili era naufragato in una sala Bingo. Via via sono scemati, uno dopo l’altro, i concetti di lavoro inteso come “valore” e di istruzione intesa come “crescita”, individuale e collettiva. Da distruggere restava solo la cultura che, da sola, poteva in qualche modo sopperire alla mancanza di sensibilità sociale e alla crescita irrefrenabile di un modello di sviluppo economico aberrante, basato sulla sopraffazione. Detto, fatto. Con la scusa della crisi, la cultura l’hanno gettata nel cestino dei rifiuti, proprio come si fa in un paese dittatoriale qualsiasi, per paura che il popolo riprenda a pensare e, quindi, a ribellarsi. Il risultato di questa sistematica opera di demolizione di più mondi, è sotto gli occhi di tutti, si chiama povertà e non vergogniamoci di dirlo. Non risulti strano, infine, che gli operai dell’Alcoadiano del “traditore” a Bersani né che gli impiegati del Comune di Firenze, contestino Matteo Renzi in pieno consiglio comunale. I pidini, per anni hanno chiuso gli occhi, per anni hanno condiviso un andazzo politico che ha difeso solo i privilegi della casta, puntando dritta al centro moderato una barra politica senza senso e senza più timoniere. Chi semina vento raccoglie una tempesta di insulti, che è sempre troppo poco rispetto ai guasti che ha causato.
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